
Lampedusa, terra d’eroi.
Illustrazione di Paolo Giangiulio
La prima volta che sono andata a Lampedusa l’ho fatto col cuore in gola.
L’avevo sentita nominare nei tanti racconti di giovani migranti, talvolta poco più che bambini, di cui mi occupavo in quanto assistente sociale.
Il primo passo sulla terra ferma dopo giorni in mare aperto; il luogo dove hanno compreso di essere vivi, spesso -troppo spesso- a discapito e nonostante la morte di amici, fratelli, genitori, compagni di viaggio.
Mi faceva paura andarci ed, un po’, avevo ragione. Perché Lampedusa non è una terra facile e nemmeno semplice. Perché Lampedusa, primo lembo d’Europa e anima geologicamente africana, così dispersa nel Mar Mediterraneo e così piccola, contiene un’energia di vita e di morte estremamente forte che si percepisce appena aprono lo sportello dell’aereo.
Non è come sembra e non è come se ne parla. Non è nemmeno come me l’aspettavo prima di andarci.

Neanche i “problemi” dell’isola sono quelli di cui si discute sui giornali, perché, come spesso accade (nell’educazione come nella medicina occidentale) lo sguardo viene puntato sui sintomi e non sulle cause.
Da trentaquattro anni a questa parte, dai famosi missili di Gheddafi lanciati contro la base LORAN, vive -e subisce-, seppur a fasi alterne, momenti di grande spettacolarizzazione.
Terra affascinante, spiagge pazzesche, vicoli stretti che ricordano un sud Italia ed un dopoguerra lontano dalle nostre vite ma prossimo agli intestini, alla nostra memoria collettiva di migranti e paesani: si presta alle telecamere con tutto il suo struggente splendore.
Lampedusa, è forse un mito di cui abbiamo bisogno?
La nostra società civile, è assetata di eroi?
¿Necessitiamo di rivolgere lo sguardo verso figure “mitologiche”, capaci di racchiudere tutte le capacità che desideriamo avere ed in grado di fare tutto ciò che sogniamo, pur di non assumerci la responsabilità ed agire?
Mimmo Lucano, Carola Rackete, il dott.Bartolo e potrei continuare ad elencare i nomi e cognomi di persone che, a causa delle loro scelte e posizioni, sono state da un lato aggredite dall’opinione pubblica e dall’altra mitizzate.
Su Lampedusa è accaduto ed accade, a mio parere, lo stesso.
L’immagine dell’isola come terra d’accoglienza è forte, ridondante.
Quante volte ho ricevuto richieste di informazioni circa la possibilità di svolgere attività socialmente utili a favore delle persone migranti? Io stessa, prima di andarci, pensavo che fosse…anche solo possibile.
Guardare Lampedusa dagli schermi la deforma. Semplifica la realtà e di fatto, la distorce.
Chi è allora Lampedusa se non quel porto d’eroi o quel luogo d’invasione straniera?
E’ un porto di persone, prima di tutto.

E’ un porto di cittadini e cittadine stanchi, dimenticati, privati dei servizi essenziali.
Parliamo di uno scoglio con circa 6000 abitanti che, per l’85%, vive di turismo.
Da sempre, l’isola si è concentrata su una sola attività economica alla volta: prima vendendo la legna fino al suo esaurimento, poi grazie alle spugne di mare e la pesca, ora, da quei famosi missili libici, sul turismo, senza un piano regolatore, senza una programmazione.
Un luogo in cui manca l’ospedale, in cui non si nasce da decenni e che per partorire, bisogna -col giusto anticipo- recarsi sulla terra ferma a spese proprie.
In cui manca un cinema, un teatro comunale e non c’è nemmeno una libreria.
Una decina di chilometri di lunghezza e otto radar che danneggiano la salute dei cittadini i quali assistono ad una crescita costante di malattie oncologiche e che influenzano il passaggio degli uccelli migratori.
Una base militare, una presenza massiccia di forze dell’ordine che, però, vive negli alberghi e mangia nei ristoranti degli imprenditori che spesso desiderano la chiusura dell’hotspot e l’assenza di migranti solo perché dannosi per l’immagine del territorio.
E poi, sì, anche luogo di sbarchi.
Ma cosa sono gli sbarchi se non la diretta conseguenza delle ingiustizie di un sistema economico neoliberista che permette lo spostamento solo di alcuni esseri umani, ma di tutte le merci?
Cosa sono gli sbarchi se non l’effetto di una politica aggressiva nei confronti del sud del mondo?
Lampedusa è una discarica, di fatto, di rifiuti umani, fuggiti dalla propria terra natia per esigenze di sopravvivenza.
Quelle persone che l’Europa non vuole, che prima collabora ad uccidere in Libia e poi spera di annegare in mezzo al mare.
L’isola riceve dunque l’effetto di un sistema globale insostenibile e diventa così terra d’oblio in cui migranti e cittadini, complice la distanza fisica dalla terra ferma ed il vantaggio politico di turno, vengono dimenticati.
Come nel 2011, durante la primavera araba, in cui furono bloccati, senza servizi di base, 8.000 tunisini e scoppiò così il primo – ed unico- scontro coi residenti. E come sta accadendo adesso, tra la possibilità di sopravvivere ad una stagione estiva stroncata dalla questione covid-19, la necessità di infrastrutture fondamentali, la richiesta -questa volta da parte del Comitato spontaneo- di chiudere l’hot spot quale luogo detentivo e aprire canali di viaggio regolare per tutti.
Alla luce di tutto questo, come visitare Lampedusa e farsi un’idea?
Sull’isola ci sono luoghi e progetti che ha senso conoscere per avere un’immagine più ampia sulla questione oggetto di questo articolo, in questo momento, prima di tutto, per via telematica.

COLLETTIVO ASKAVUSA
https://askavusa.wordpress.com/
Nasce nel 2009 da un gruppo di attivisti, artisti e persone dell’isola con un chiaro e dichiarato approccio anticapitalista, anarchico e comunista.
Dallo stesso anno, si occupano della raccolta, cura e conservazione degli oggetti posseduti dalle persone transitate sull’isola presso Porto M, sede dell’associazione e museo delle migrazioni, oltre che unico, piccolo, teatro dell’isola.
I racconti di Giacomo Sferlazzo, in particolare, sono fondamentali per avere un’immagine dell’isola meno edulcorata e più realistica. Complessi, certamente, ma radicati nell’esperienza di vita sull’isola e in un attivismo quotidiano.
ARCHIVIO STORICO
http://www.archiviostoricolampedusa.it/
Una doppia vetrina decorata con le foto della Lampedusa nella storia chiude il viale principale dell’isola: Viale Roma.
Dentro musica classica ed Antonino Taranto che si occupa delle tradizioni, della memoria e della storia del luogo, basi per comprendere un presente complesso.
Nino è una persona molto disponibile e capace di illustrare la storia del suo territorio in modo evocativo e chiaro. E’ anche l’unico posto in cui poter acquistare dei libri.
MEDITERRANEAN HOPE
https://www.mediterraneanhope.com/
Osservatorio sulle migrazioni nato sull’isola dopo la terribile strage del 3 ottobre 2013.
Gli operatori si occupano dell’accoglienza agli sbarchi insieme agli attivisti e alle attiviste del Forum di Lampedusa Solidale, di studiare i processi migratori contemporanei e raccontarli grazie ai “Disegni dalla frontiera” di Francesco Piobbichi, della gestione di un internet point e di interventi a favore anche della popolazione locale.

CIMITERO E “CIMITERO” DELLE BARCHE
Accanto alle tombe di uomini, donne, bambini, pescatori, anziani locali ci sono quelle di Ester Ada e degli altri migranti, spessissimo privi di un nome, deceduti durante la traversata o recuperati in mare. Alcune di queste lapidi bianche sono state decorate da un artista, in maniera semplice, che desidera restare anonimo.
Nella parte nuova, poi, c’è un piccolo giardino decorato, dall’ex custode, con delle semplici croci di legno a ricordo di giovani tunisini seppelliti, senza foto, senza nome e senza storia.
Esiste poi, ma da inizio giugno dobbiamo dire “esisteva”, il cosidetto ‘cimitero delle barche’ che in realtà consisteva in una discarica di imbarcazioni fatiscenti abbandonate. Era un luogo drammatico, angosciante, in cui la forza della disperazione emergeva con tutti i suoi dettagli: casse di latte gonfio di sole, abiti, giocattoli, piccoli utensili rivenuti sui fondi delle navi e dei gommoni mostravano tutta la realisticità del dramma.
I primi di giugno, ignoti hanno appiccato il fuoco distruggendo quel che rimaneva.
FORUM di LAMPEDUSA SOLIDALE
E’ un gruppo spontaneo di cittadini, attivisti, lavoratori, ecclesiastici che distribuiscono beni ai migranti, organizzano eventi di solidarietà, riunioni su specifiche tematiche mettendo in rete idee e competenze a favore del benessere della comunità locale e delle persone in transito.
E’ possibile partecipare agli incontri anche se di passaggio.
Se questi sono i luoghi fisici per una comprensione del territorio, ci sono anche luoghi immateriali accessibili anche senza partire.
In primis:
-Appunti per un naufragio” libro e opera teatrale di Davide Enia.
-Lo Spettacolo del confine, di Paolo Cuttitta
-Bibbia e Corano a Lampedusa, autori vari, edito da La Scuola
-L’isola del non arrivo, di Marco Aime
A seguire, ma non certo per ordine di importanza, consiglio di leggere tutto ciò che ha scritto Alessandro Leogrande ed in particolare “La frontiera”.
La musica, infine, aiuta a conoscere l’isola, in particolare quella di Giacomo Sferlazzo, musicista ed attivista del suddetto collettivo Askavusa:
https://www.youtube.com/watch?v=pMK-4F0pyiM&pbjreload=101
https://vimeo.com/6831769