
Apriamo i luoghi delle donne, riflessioni da Lucha y Siesta
Le case delle donne rappresentano una vittoria dei movimenti femministi, luoghi di costruzione della libertà e dell’autodeterminazione, con una valenza politica in quanto porta di accesso ai diritti e alla felicità. Nei luoghi come Lucha y Siesta si esprime la forza simbolica e fisica della politica femminista e la capacità di mettere in discussione le dinamiche ingiuste dettate dalle differenze di genere, che col Covid-19 hanno espresso tutta la loro invadenza
Il trimestre marzo-giugno 2020 ci ha messo davanti un dato drammatico in termini quantitativi e qualitativi.
Se nei primissimi giorni del lockdown i numeri telefonici di ascolto e sostegno alle donne in difficoltà hanno rilevato una drastica riduzione delle telefonate, col prolungarsi dell’isolamento c’è stata invece un’inversione di tendenza e, come rilevato da D.i.Re (rete dei centri antiviolenza), nel mese di aprile si è registrato un incremento del 74% rispetto allo stesso periodo del 2019. La convivenza forzata ha esasperato situazioni già complicate e ha fatto esplodere le tensioni in maniera incontrollata. Gli effetti di lungo periodo saranno evidenti nei prossimi mesi, quando molte donne si rivolgeranno ai servizi antiviolenza, che assumeranno una centralità ancora maggiore rispetto ai periodi precedenti.
Lo denuncia anche l’Agenzia ONU UNFPA nello studio intitolato “Ripercussioni della pandemia Covid 2019 sulla pianificazione familiare, la violenza di genere e le mutilazioni genitali femminili” di aprile 2020, dove si evidenzia che l’epidemia ha minato gli sforzi per l’eliminazione della violenza di genere, ha ridotto gli effetti delle campagne di prevenzione e di protezione per le vittime e ha aumentato l’incidenza della violenza e delle mutilazioni genitali. In generale l’UNFPA mette in luce una riduzione pari a due terzi dei progressi altrimenti fatti grazie ai programmi per l’eliminazione della violenza di genere e un aumento di 15 milioni di casi nel trimestre in esame.
Nel contrastare la violenza di genere, Lucha y Siesta decostruisce la cultura che ci vincola ai ruoli di genere, che limita le scelte personali e la rivendicazione di diritti e di libertà. È ancora il patriarcato il nemico da combattere per togliere ossigeno alle dinamiche che mettono in pericolo la realizzazione delle donne. Siamo sempre noi a non poter lavorare per rimanere in famiglia, a non ricevere la giusta retribuzione e a sostenere il carico del lavoro di cura.

Lucha y Siesta non parla per altre, ma porta con sé le centinaia di storie di chi l’ha vissuta in cerca di un luogo dove riposare e riprendere la propria vita.
In 12 anni Lucha ha sostenuto più di 1200 donne e ne ha ospitate quasi 200.
Ha valorizzato un immobile abbandonato, restituendo alla città di Roma 14 stanze dedicate all’accoglienza di donne in difficoltà; ha creato al suo interno un laboratorio di sartoria, una biblioteca di quartiere e spazi dove costruire relazioni, senso e forza comuni.
Lucha è una comunità che si alimenta della forza di ognuna intorno a un progetto di autogestione e mutuo aiuto femministi, che esclude il concetto di vittima inabile e passiva per costruire la bellezza di rivendicare la propria forza e autonomia. La comunità della Casa è ampia ed è costituita dalle donne che vivono a Lucha e da un gruppo di attiviste e operatrici antiviolenza che animano le attività del posto e sostengono i progetti di autonomia verso l’uscita da Lucha.
Il percorso si struttura per step che si adattano nel tempo alla storia personale della donna, e le cui forme dinamiche e mutevoli devono essere sempre rispettate e mai forzate da scelte indotte. Questo significa che al centro c’è la relazione fra donne, che non giudica e non sovradetermina le scelte altrui. Ne deriva una relazione paritaria e basata sulla fiducia reciproca, nella quale l’operatrice mai può sostituirsi alla donna che le si rivolge mirando, invece, ad accompagnarla in un percorso di uscita dalla violenza e dalla figura di vittima.
Spiega Giglioli nel saggio intitolato Critica della vittima (2014) “La prospettiva della vittima perpetua il dolore. Coltiva il risentimento. Alimenta identità rigide e spesso fittizie. Inchioda al passato e ipoteca il futuro. Scoraggia la trasformazione”. Per scardinare l’immobilismo sotteso a questa breve citazione, è necessario in primis non nominare le donne che vivono la violenza come “vittime”, ma come “donne che escono da situazioni di violenza”. Si tratta di un percorso complesso di autodeterminazione che molte donne non conoscono e non sanno di poter percorrere: diffondere la consapevolezza relativa alla propria capacità di azione e non di soggetti passivi incapaci e inadatti al cambiamento, affinché l’azione di informazione e supporto per una singola donna si concretizzi in un cambiamento con effetti positivi su tutta la collettività.
Autodeterminarsi significa essere in grado di scegliere il proprio percorso di vita in maniera autonoma rispetto ai condizionamenti sociali e culturali esterni, che sono essi stessi, in alcuni casi, i meccanismi nel quale il maltrattante agisce indisturbato.

In questa dinamica, la donna acquisisce gli strumenti per conciliare risorse oggettive e soggettive in un progetto di crescita e autonomia che la porterà ad essere più consapevole di sé e delle proprie capacità di cambiare la situazione in cui vive e al di là dei ruoli di cura che la società impone, agendo un ruolo attivo sui rapporti di forza che la determinano.
La spirale della violenza, intesa come susseguirsi e intensificarsi di dinamiche violente di diversa forma, è la prima immagine che insieme si fa emergere nei colloqui di ascolto durante i quali si può finalmente elaborare il vissuto doloroso, spesso lasciato taciuto per anni, non riconosciuto come traumatico ma che si deve tirar fuori per cominciare un percorso di emersione e rielaborazione. In questo modo, la relazione fra donne si trasforma in un rapporto dove il servizio lascia spazio alla costruzione di percorsi tagliati sui vissuti personali di ognuna.
Lucha y Siesta ha dato vita nel settembre scorso al Comitato Lucha alla città, una comunità di sostegno e resistenza alla chiusura di Lucha y Siesta. L’immobile, infatti, è di proprietà dell’Atac (trasporto pubblico di Roma) che lo ha messo all’asta e intende liberarlo quanto prima. Il Comitato ha raccolto oltre 120mila euro per sostenere l’esperienza di Lucha y Siesta e per sensibilizzare sull’importanza che questi luoghi si moltiplichino in ogni territorio, per diventare presidi diffusi dove mettere al centro le politiche di genere e promuoverne la diffusione.
Se il Covid-19 ci ha volute in casa a lavorare per forza, ci ha fatto chiudere negozi e progetti di autonomia e realizzazione, dai luoghi delle donne possiamo ripartire insieme condividendo le risorse che siamo in grado di mettere in campo. Se il Covid-19 ha portato un nuovo e maggior carico di cura e responsabilità, coltiviamo lo spazio pubblico per parlarne e per dirci che non è normale che sia normale sentirsi escluse e sole, che i ruoli di genere vanno forzati e decostruiti una ad una, cercando l’ascolto per tutte le esperienze.
Durante questa estate tutta particolare Lucha y Siesta e un altro spazio importante come la Casa internazionale delle donne, vivono una situazione comune che le distoglie dalle attività prinicipali di sviluppo e cura di reti femministe e transfemministe. L’amministrazione comunale, non riconoscendone l’importanza civile e politica, pare disposta a perderle con un danno enorme per la città intera. Su Lucha y Siesta pende il rischio di una dismissione tramite asta, mentre la Casa Internazionale rischia la bancarotta a causa delle richieste economiche che gli uffici amministrativi del Comune le hanno fatto pervenire.
Oggi la ricandidatura di Virginia Raggi ci preoccupa visto lo strappo con le donne che chiedono nuovi spazi in città e apertura di un dialogo su quelli giù presenti
Continueremo a farlo con forza da settembre convinte che non sarà possibile immaginare una città senza il nostro contributo, molti spazi e case delle donne stanno coltivando un florido dialogo che tiene uniti diversi territori.
Siamo in fermento e intendiamo lanciare un ragionamento che tenga dentro gli spazi femministi e transfemministi come beni comuni intangibili e inalienabili e la loro capacità di essere spazi di diritti per tutte e tutti.