
Il mansplaining: la tracotanza maschilista di saperne inutilmente più delle donne
Avete presente tutte le volte che un uomo interrompe una donna su un argomento che conosce o di cui è esperta al riguardo, credendo di saperlo spiegare meglio di lei?
Ecco, questo è un classico esempio di mansplaining.
La circostanza in cui un uomo (mansplainer) si senta autorizzato a puntualizzare e/o a precisare tematiche e argomenti, nonostante sia meno competente del suo interlocutore, soltanto perché di sesso femminile, rimanda all’idea che la parola di quest’ultima abbia meno valore. Una convinzione che si ripercuote in tutti gli ambiti della vita della donna, dalla famiglia al lavoro, alle relazioni sociali.
Il termine mansplaining (ripreso in Italia dalla scrittrice Giulia Blasi con “#minchiarimento”) fu ispirato da un saggio della scrittrice Rebecca Solnit nel 2008, a cui lei partecipò un party pieno di intellettuali newyorkesi quando si intrattiene a conversare con un collega scrittore e cominciò a spiegargli qual è il nuovo progetto su cui sta lavorando. Quello la interruppe bruscamente e le consigliò la lettura di un altro saggio da cui poteva trarre ottimi spunti per la stesura del suo nuovo libro. Solo che il libro che l’uomo stava citando lo aveva scritto lei.
Da quell’episodio nacque l’idea di scrivere “Gli uomini mi spiegano le cose” (edito in Italia da Ponte alle Grazie) il bestseller in cui, detto brutalmente, Solnit spiega in una collezione di sette saggi brevi l’abitudine culturale di molti uomini di dare per scontato che una donna non sappia qualcosa, nel suo caso spinta veramente al parossismo risibile.

3 anni fa Solnit disse al riguardo su Donna Moderna:
«La prima forma di violenza sulle donne avviene con le parole, perché anche il linguaggio è una forma di potere. Purtroppo capita ogni giorno, a ognuna di noi, di essere invitata al silenzio. Succede quando un uomo ti spiega una cosa, un’idea, indipendentemente dal fatto che tu ne sappia o meno e che lui ne sappia o meno, perché comunque è meglio di te.
Lo chiamano “mansplaining”: un’arroganza che mette i bastoni tra le ruote alle donne, non permette di far sentire la loro voce e schiaccia le più giovani nel silenzio, insegnando che il mondo appartiene ai maschi e che noi siamo un recipiente vuoto da riempire con la loro saggezza. Questo atteggiamento sembra un granello di sabbia in mezzo al deserto, ma non è così.
Si tratta piuttosto di un cuneo, di un varco che apre lo spazio ai maschi e lo chiude a noi, di un lasciapassare verso tutte le altre tipologie di abusi.
Non pieghiamoci più a questa guerra: prendiamo la parola, prima a bassa voce e poi con maggiore convinzione e dimostriamo, con un sorriso, che anche noi possiamo “spiegare le cose” visto che le sappiamo, siamo attente e preparate.
E se ci proviamo tutte, insieme, ci riusciremo».
“Il confine è labile. Più che di mansplaining, in questo e altri casi, è forse giusto parlare di sessismo bello e buono” — sostiene Federica Giardini, professoressa di filosofia politica all’università di Roma Tre e esperta di studi e politiche di genere in un articolo su Vice di quattro anni fa.
“Questi sono episodi che trovo apertamente sessisti, proprio con una limpidezza e una chiarezza che invece la postura paternalistica tende a nascondere,” commenta.
Secondo Giardini, il mansplaining – che lei definisce come una postura maschile nell’interlocuzione pubblica con le donne – è inestricabilmente collegato alla questione del politically correct.
“Non a caso [mansplaining] è un’espressione ripresa dalla lingua inglese. Le società di lingua inglese hanno elaborato, rispetto alle questioni poste dal genere, delle policy di correttezza,” spiega. Correttezza linguistica che riflette però indicazioni più profonde sul tipo di atteggiamento che si addice alla sfera pubblica.
L’autrice di fantascienza Karen Healy disse al riguardo in un post sul suo blog nel 2009:
“Mansplaining non è solo l’atto di spiegare mentre si è maschi, ovviamente; molti uomini riescono a spiegare le cose ogni giorno senza insultare minimamente i loro ascoltatori. Mansplaining è quando un tizio ti dice, una donna, come fare qualcosa che sai già fare, o come ti sbagli su qualcosa su cui hai effettivamente ragione, o “fatti” vari e imprecisi su qualcosa che conosci un inferno di a molto di più di lui.
Punti bonus se ti sta spiegando come ti sbagli su qualcosa di sessista!
Pensa agli uomini che conosci. Qualcuno di loro mostra quella deliziosa miscela di privilegio e ignoranza che porta a spiegazioni condiscendenti e imprecise, fornite con la solida convinzione di esattezza e quella viscida certezza che ovviamente ha ragione, perché è l’uomo in questa conversazione?
Quel tizio è un mansplainer.”
Nel 2016 per quattro giorni Unionen, il più grande sindacato svedese delle e degli impiegati, tenne aperta una linea telefonica completamente gratuita per segnalare casi di mansplaining. La metà delle chiamate ricevute provenivano da uomini che chiedevano come spiegare il fenomeno ai propri figli, come riconoscerlo e reagire nei confronti di chi lo attua, come non esserne a loro volta responsabili.
Un’iniziativa lodevole che però è stata anche duramente attaccata, soprattutto da chi l’ha presa sul personale, come spesso accade quando si parla di discriminazioni e di uguaglianza di genere.
Nel mondo del lavoro, il mansplaining è un problema serio. Quest’atteggiamento può, infatti, rivelarsi una tattica per escludere le donne, anche se qualificate, dalle sedi e dai ruoli decisionali. Emblematica è una vignetta esplicativa lanciata dal sindacato Unionen. Due uomini e una donna sono colleghi di lavoro e, durante una conversazione, uno dei due le dice: «Abbiamo dimenticato di invitarti ieri dopo il lavoro. Comunque Steffe per caso ha portato la cartella con i documenti strategici, abbiamo bevuto un paio di birre, sai una tira l’altra, e alla fine ci siamo ritrovati ad aver preso una decisione».

Dall’alta finanza, allo spazio, dai Giochi olimpici alle elezioni presidenziali americane, laddove le donne arrivino a conquistare posizioni di rilievo, il sessismo che da sempre le precede non tarda a farsi sentire, anche attraverso manifestazioni di questo tipo.
Il mansplaining si verifica ovunque: in famiglia, tra amici, in ambiente scolastico, sui social dove, è noto, si danno appuntamento i maggiori esperti “di tutto”.
L’astronauta americana Jessica Meir pubblicò un video girato nel corso di una simulazione scrivendo: “Per la prima volta sono andata a più di 19mila metri di altezza, la zona equivalente allo spazio, dove l’acqua bolle spontaneamente! Fortunatamente ho la tuta!”.
Un uomo, Casey O’Quin, ha ritenuto opportuno improntare una lezione di fisica all’astronauta: “Non direi spontaneamente. La pressione della stanza è sotto la pressione di vapore dell’acqua a temperatura ambiente. Semplice termodinamica”.
Dopo le numerose critiche l’uomo ha cancellato dal social network il suo profilo.
La ciclista olandese Annemiek van Vleuten, dopo una caduta durante le Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016 durante la quale ha rischiato di morire e ha visto sfumare il sogno di una medaglia d’oro, riceve un inutile suggerimento da uno sconosciuto a caso su Twitter. Ehi ragazzina, non te l’hanno detto che la prima lezione nel ciclismo è “tieni stretto il manubrio”?
Un esempio l’ha offerto Kanye West che nel 2009 salì -ovviamente non invitato- sul palco degli MTV Music Awards e interruppe il discorso di ringraziamento dell’allora diciannovenne Taylor Swift che aveva appena vinto il premio per Best Video per dirle che sì, ok, la sua canzone non era malaccio ma quella di Beyoncé era meglio e avrebbe dovuto vincere.
“Sono sposato da 45 anni ed ho due figlie femmine”: queste le parole utilizzate dal deputato repubblicano Ted Yoho dopo aver definito la collega Alexandria Ocasio-Cortez “fucking bitch”, alla presenza di un taciturno deputato repubblicano che, appunto, non ha proferito una parola. Per giustificare la sua violenza verbale, per autoassolversi, decide di farsi scudo delle sue figlie femmine, lui, prototipo del maschio eterosessuale e bianco, dell’uomo di potere, non si pone minimamente il problema di chiedere scusa e di riflettere su quale sia il cuore della questione.
Kamala Harris ha impedito al vice presidente Mike Pence durante le presidenziali di interromperla continuamente mentre stava criticando la risposta dell’amministrazione Trump alla pandemia di Coronavirus. Per molt* spettatori/spettatrici e utenti, la reazione ferma della candidata democratica alla vice presidenza è stata una dimostrazione pratica di come evitare il cosiddetto mansplaining.
In Italia di esempi lampanti di mansplaining ce ne sono a iosa.
Quattro anni fa durante la trasmissione Fuori Onda su La7, Bertolaso disse a Giorgia Meloni che non avrebbe dovuto candidarsi a sindaca di Roma perché era incinta, al “Zitta e ascolta!”, incalzato da Michela Murgia, lo psichiatra Raffaele Morelli che perde il controllo durante la diretta del Tg Zero di Radio Capital. Per Morelli, le bambine devono giocare con le bambole per conservare la loro “radice femminile”. In un’altra intervista, poche ore prima, aveva detto: “Se una donna esce di casa e gli uomini non le mettono gli occhi addosso, deve preoccuparsi”.
Fino al virologo Roberto Burioni a gennaio che se la prese con una ragazza su Twitter che le aveva fatto notare quanto senso di onnipotenza assumesse: “Alla sua età dovrebbe avere capito quando smettere di scrivere perché sta facendo la figura della fascistella arrogante e ridicola. E alla mia età vediamo lei cosa avrà raggiunto nella vita, con la sua intelligenza e con i suoi modi. Si vergogni”
La più clamorosa è quella a cui purtroppo ha dovuto assistere la scrittrice Valeria Parrella quest’anno. Giorgio Zanchini, conduttore del premio Strega nel corso della diretta, ha Valeria Parrella sul palco, la sta per congedare, e lo fa dicendo che passerà la parola a Corrado Augias per parlare di quel tema al centro delle cronache e del dibattito degli ultimi anni che ha come protagoniste (come target e come persone che hanno avuto il coraggio di denunciare), le donne: il #metoo.
Lui prova a scusarsi preventivamente: «Adesso con Corrado Augias proveremo a ragionare su uno dei temi sui quali immagino Valeria Parrella potrebbe tenerci per tutta la sera, cosa è cambiato con il metoo». La replica di Parrella è inevitabile: «Ah ne parla con Augias?». Sorride: «Auguri».
Insomma il mansplaining è un vero e proprio abuso verbale e invece di fare sempre i saccenti su tutto, cari mansplainers, iniziate ad ascoltare le donne, ad apprezzare quello che hanno da dire dicendo la propria con rispetto, senza alcuna supponenza narcisista machista e soprattutto a rispettarle in quanto DONNE.