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Call me by my name: stereotipi e autorappresentanza della neuroatipicità.

Coerentemente con il mio lavoro di diffusione di un linguaggio inclusivo nei confronti delle differenze, in questo articolo non farò uso del maschile sovraesteso ma alternerò maschile e femminile in modo casuale.

Vi siete mai soffermate a riflettere su quale sia il linguaggio che il mondo usa per definirvi, se vi ci riconoscete? Vi sentite a vostro agio rispetto alle descrizioni che vengono fatte di voi da chi non può sapere cosa pensate e provate intimamente, semplicemente perché non è dentro di voi?

Spesso non siamo coscienti di quanto la nostra identità venga costantemente delineata, qualificata e rimaneggiata dalla società, e di quanto questo riflesso deformato della nostra essenza più profonda si sovrapponga, con forza e tenacia, a ciò che intimamente siamo, fino a modificare il modo in cui vediamo e percepiamo noi stessi.

Normalmente questo processo passa inosservato perché l’immagine che la maggioranza delle persone ha di sé, con le dovute differenze e ovviamente a grandi linee, corrisponde ai modelli vincolanti che la società ci pone dinanzi fin dall’infanzia, ma ci sono casi in cui ciò che percepiamo di essere, la maniera in cui il mondo entra in noi attraverso i sensi, o i comportamenti, non corrispondono all’immagine di normalità che la famiglia, la scuola, le amicizie, la cultura in cui siamo immerse continuano a proporci insistentemente invitandoci, in modo più o meno gentile, a seguirla.

Adesso provate a immaginare cosa accadrebbe se foste proprio voi a non rientrare nei modelli imposti da quell’approssimazione statistica fondata su criteri arbitrari che è la normalità. Come vi sentireste se la vostra reale essenza, ciò che voi sentite intimamente di essere, venisse costantemente distorta da chi vi vede come strane, diverse o difettose semplicemente perché non corrispondete a un modello ideale basato su una media aritmetica? Probabilmente provereste il desiderio di contrastare questa narrazione che la società ha creato di voi e che non sentite appartenervi, sicuramente rivendichereste il diritto di non dover corrispondere necessariamente a quell’immagine standardizzata che era lì ad attendervi da prima che nasceste. In poche parole: provereste a esercitare il vostro diritto di autorappresentanza.

Autorappresentanza significa avere la possibilità di parlare per sé, di rappresentare se stessi con i mezzi e le modalità più adeguati alle possibilità di ciascuno al fine di esprimere le proprie idee, ed è un passaggio fondamentale per poter arrivare all’autodeterminazione, ovvero alla possibilità di decidere della propria vita. Come per molti altri diritti che spesso diamo per scontati, anche l’autorappresentanza manifesta palesemente la sua importanza quando ne siamo private.

In questo articolo guiderò la vostra attenzione sull’importanza che ha il linguaggio di tutti i giorni nel definire l’immagine di una particolare categoria di persone, le neuroatipiche, e l’impatto che tale narrazione fatta dalla società ha sulla loro possibilità di autorappresentarsi.

La neuroatipicità è una categoria che include coloro che, rispetto allo sviluppo neurologico della maggioranza che viene considerato tipico, possiedono un sistema nervoso organizzato in modo atipico – ossia differente in alcune sue aree. Questo porta le persone neuroatipiche a percepire ed elaborare diversamente il mondo esterno e interno, e a interagire con esso attraverso comportamenti più o meno differenti da quelli della maggioranza. Rientrano nella neuroatipicità tutti coloro che, come me, appartengono allo spettro autistico, le persone dislessiche, discalculiche, disprassiche, tourettiche, ADHD.

Attenzione però a non confondere la neuroatipicità con la neurodiversità perché sono due concetti ben diversi. Il termine neurodiversità fu coniato dall’attivista Judy Singer alla fine degli anni ‘90, potremmo considerarlo l’equivalente neurologico della biodiversità, e descrive la “variabilità illimitata della cognizione umana e l’unicità di ogni mente umana”1). Secondo questa idea siamo quindi tutte neurodiverse, e una certa percentuale di persone accomunata da alcuni tratti caratteristici è neuroatipica.

Noi autistiche e autistici veniamo rappresentate dalla cultura occidentale attraverso una serie di stereotipi che nella maggioranza dei casi non corrispondono alla realtà. Questi sono anche il risultato di pregiudizi spesso incoscienti nei confronti di chiunque manifesti comportamenti che differiscono da una normalità presa a modello ideale poco più di 150 anni fa. 2) L’immagine classica del bambino autistico totalmente chiuso nel proprio mondo che si dondola su una sedia alla Raymond di Rain Man continua a circolare, anche se ormai da decenni i manuali clinici hanno ridefinito questa condizione facendovi rientrare anche persone che, a prima vista, non mostrerebbero caratteristiche tanto evidenti. In pratica, nella neuroatipicità esiste la stessa variabilità di caratteristiche che troviamo tra persone neurotipiche.

Esistono inoltre alcuni ostacoli che impediscono alla narrazione fatta dalle stesse persone neuroatipiche di godere di pari dignità rispetto a quella che un qualsiasi individuo neurotipico può invece fare di sé, rendendo di fatto estremamente difficile l’esercizio del diritto di autorappresentanza. Per brevità ho ridotto a tre il numero di questi ostacoli, che sono:

  1. l’applicazione di una visione derivante dal modello medico della disabilità anche al di fuori dell’ambito clinico
  2. l’infantilizzazione dell’autismo
  3. l’uso di una narrazione definita come inspiration porn, o porno motivazionale.

Il modello medico definisce l’autismo in base a quelli che vede come deficit. A questa condizione viene applicato lo stesso approccio che si utilizzerebbe nei confronti di un’appendicite o di un’influenza: ogni interferenza va eliminata per riportare l’organismo a un funzionamento ritenuto normale, sano.

Questo però può essere vero per una malattia, la cui definizione secondo il vocabolario Treccani è “condizione abnorme e insolita di un organismo vivente […] caratterizzata da disturbi funzionali, da alterazioni o lesioni […], alterazione transitoria e reversibile3). Ma l’autismo, stando a ciò che ci dice la ricerca medica, non è né reversibile né transitorio, è una condizione del neurosviluppo.

Il modello medico però guida l’approccio all’autismo anche fuori dall’ambito della ricerca e della pratica clinica, influenzando l’immaginario collettivo e rinforzando l’idea errata che la diversità neurologica sia necessariamente fonte di deficit. Questo impedisce l’affermazione di una narrazione – di stampo sociale, portata avanti dalle stesse persone neuroatipiche – che vede condizioni come l’autismo in termini di differenze che, quando si scontrano con una società strutturata da e per persone neurotipiche, possono diventare ostacoli in alcuni casi impossibili da superare.

Collegata a questa idea patologica e deficitaria della neuroatipicità c’è quella che relaziona le condizioni del neurosviluppo esclusivamente a un’immagine infantile. Si parla quasi esclusivamente di bambine e bambini autistici con descrizioni che lǝ dipingono come piccoli angeli, creature speciali, come se dire autistica o dislessica o semplicemente neuroatipico fosse un insulto. La creazione di un’immagine esclusivamente legata all’infanzia ha inoltre come conseguenza quella di far scomparire dai radar tutte le persone adulte neuroatipiche, disintegrando di fatto la possibilità di questǝ bambinǝ di avere una visibilità una volta divenutǝ adultǝ.

Questa può apparire una sottigliezza, ma da adulto autistico vivo in prima persona le difficoltà nel proporre un discorso che affronti la neuroatipicità come condizione che dura quanto la vita di una persona, e questa sensazione è confermata anche da un’interessante studio della dottoressa Morton Ann Gernsbacher 4) che dice:

Nove delle maggiori 12 organizzazioni di beneficenza sull’autismo limitano la descrizione dell’autismo a un discorso riferito all’infanzia. I personaggi rappresentati come autistici sono bambini nel 90% dei libri di fantasia e nel 68% dei film e dei programmi televisivi. L’industria dell’informazione presenta bambini autistici quattro volte più spesso rispetto agli adulti negli articoli di informazione. L’interazione costante tra le associazioni per l’autismo guidate dai genitori, gli enti di beneficenza per la raccolta di fondi, i media e l’informazione, mette a tacere l’autorappresentanza degli adulti negando la loro stessa esistenza. La schiacciante propensione della società a descrivere l’autismo come una disabilità dell’infanzia pone una formidabile barriera alla dignità e al benessere delle persone autistiche di tutte le età. 5)

La propensione a vedere l’autismo come una condizione che crea essenzialmente impedimenti e deficit che si verifica – inspiegabilmente – esclusivamente durante l’infanzia, è in qualche modo collegata anche all’uso sempre più diffuso di una rappresentazione della diversità che trasforma le persone disabili e neuroatipiche in icone motivazionali esclusivamente o in parte per la loro diversità: l’inspiration porn.

La spiegazione più chiara di questa definizione ce la fornisce proprio Stella Young, l’attivista disabile che l’ha coniata, in un Ted Talk quando dice:

Uso deliberatamente il termine porno perché [certe immagini] oggettivano un gruppo di persone a beneficio di un altro. Quindi, in questo caso, stiamo trattando le persone disabili come oggetti a vantaggio delle persone non disabili. Lo scopo di queste immagini è quello di ispirarvi, motivarvi, in modo che possiate guardarle e pensare: “Beh, per quanto brutta sia la mia vita, potrebbe essere peggio. Potrei essere quella persona 6).

E se vi dicessi che noi persone neuroatipiche non siamo speciali, non abbiamo più deficit di quanti ne abbia la maggioranza della popolazione, ma incontriamo tante difficoltà quando entriamo in relazione con una società che non accetta la diversità se non con tono paternalistico, come se fossimo esseri inferiori, e quello di includerci nel gruppo rappresentato dalla cosiddetta maggioranza – o normalità – fosse un atto caritatevole, un favore o un regalo che riceviamo nonostante le differenze che ci caratterizzano?

Il linguaggio della maggioranza, sia quello verbale sia quello visuale e immediato delle reti sociali coi suoi meme motivazionali e strappalacrime, difficilmente rappresenta le persone neuroatipiche. L’insistenza della cultura dominante nel veicolare questa narrazione motivazional-deficitaria della minoranza neuroatipica ne lede la dignità, mettendo il tentativo di autorappresentarsi delle persone neuroatipiche allo stesso livello di un capriccio.

Note

Note
1 Singer, J. (2019). What is Neurodiversity? NeuroDiversity 2.0. https://neurodiversity2.blogspot.com/p/what.html?m=1&fbclid=IwAR0WcAs9DopM8HMfKHD8RCNfXbXUTBFopCAz3rVkhxHsnMYXOQDYgLusFDI
2 Per maggiori informazioni su come sia stato creato e si sia evoluto il concetto di normalità nella nostra cultura: https://www.fabrizioacanfora.eu/il-concetto-di-normalita/
3 Da: https://www.treccani.it/vocabolario/malattia/
4 https://en.wikipedia.org/wiki/Morton_Ann_Gernsbacher
5 Stevenson, J. L., Harp, B., & Gernsbacher, M. A. (2011). Infantilizing Autism. Disability studies quarterly, 31(3), dsq-sds.org/article/view/1675/1596. https://doi.org/10.18061/dsq.v31i3.1675
6 https://youtu.be/8K9Gg164Bsw

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