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Intersezionale

Corpo e mestruazioni

Sul sangue, sul corpo e sull’odio: Considerazioni femministe sulle mestruazioni.

In copertina: Fotografia di Amy Guip

Ho avuto la fortuna, lo ammetto, di aver due genitori corretti, due persone che, cioè, hanno sempre avuto l’energia, il tempo, la voglia di spiegarmi le cose, di educarmi, di coinvolgermi.
Quando per la prima volta ho avuto le mestruazioni sapevo di cosa si trattasse e, cosa ancora più importante, sapevo che fare: dove trovare gli assorbenti, come metterli, ogni quanto cambiarli. Sapevo tutto perché loro, entrambi, me ne avevano già parlato risparmiandomi il trauma che, invece, una mia compagna delle elementari subì quando, al quarto anno, ebbe la sua prima perdita ematica mentre se ne stava in piedi, alla lavagna. Pantaloni bianchi.

Ricordo con fastidio, invece, le parole che mi disse al telefono una parente: innanzi tutto si complimentò con me per quel traguardo raggiunto –come se fosse un merito o il frutto di un percorso faticoso – e, soprattutto, del fatto che fossi “diventata signorina”.

Detestavo quell’espressione per diverse ragioni. Innanzi tutto perché si trattava di un’etichetta che qualcun’altr@ aveva cucito sulla mia pelle senza chiedermi alcun permesso e, in secondo luogo, perché sapeva di patriarcato. In seconda media, ammetto anche questo, non ero certo un fulmine di guerra nello smascherare i fini meccanismi con cui tradizione, linguaggio e patriarcato si supportano vicendevolmente. Tuttavia, qualcosa dentro di me si era smosso, urtandomi, facendomi infuriare.


Non ero una signorina: ero sempre io solo che, una volta al mese, avrei dovuto mettere il pannolino.

Se i miei genitori erano stati così aperti nell’educarmi alle cose della vita e dei corpi, mi rendevo perfettamente conto di quanto, invece, il mondo esterno alla mia bolla familiare facesse delle mestruazioni un problema colossale, una faccenda privata – se non, addirittura una vergogna di cui sentirsi colpevoli. Imparai presto che, a scuola, l’assorbente doveva essere nascosto: estratto dalla cartella, prontamente e con gesti furtivi, doveva essere occultato sotto al maglione. Bisognava fingere, fingere sempre che s’andasse al bagno per una qualsiasi altra ragione specie se, la classe la si divideva coi maschi. Loro non dovevano sapere: mai. Meglio la diarrea del sangue mestruale. Bisognava preservarli, i maschi, bisognava proteggerli dagli orrori che si celavano nelle nostre mutande.

Ricordo la rabbia di quei momenti, ricordo la frustrazione, accesa e pulsante, che si sente quando ci si trova di fronte a qualcosa di assurdo e al contempo, di fronte a qualcosa di troppo potente e ingarbugliato per essere sconfitto –almeno da sole. Col tempo, ho dato a questo muro di gomma, fatto di non detti, di ignoranza, di stereotipi e di pregiudizi, un nome: l’ho chiamato patriarcato. Ho saputo dargli un nome perché, di nuovo, ho avuto la fortuna e il privilegio d’aver accesso a spazi e momenti femministi, luoghi in cui è stato possibile “partire da sé”.

Da grande ho scoperto che il corpo delle donne era un corpo odiato. Tutte le volte che un corpo di donna compiva delle azioni non aventi una accezione sessuale o non direttamente sessualizzabili, veniva aggredito, massacrato, denigrato. Sottraendo il proprio corpo allo sguardo maschile, le donne compiono il proprio peccato originale, vanno contro il proprio scopo nel mondo cioè l’esserci, l’esistere in funzione maschile, per il loro piacere.

Quando i corpi delle donne fanno “cose da corpi”, svolgono quelle funzioni che un corpo vivete svolge, meritano quindi una punizione, un castigo, una mortificazione – soprattutto se ne svelano appunto i meccanismi. Il corpo delle donne smette di essere voluto nel momento esatto in cui smette di essere sessuale – secondo, tuttavia, un rigido parametro di cosa è sessuale e appetibile e di cosa, invece non lo è: una ennesima descrizione, in cui, le suddette, non hanno voce in capitolo.

Le mestruazioni non sono eccitanti. Vedere del sangue fuoriuscire da una vagina rompe la magia della sessualizzazione. In realtà, anche il solo sapere che questa cosa possa avvenire, a quanto pare, rompe l’incantesimo patriarcale. Questa postura nei confronti del corpo delle donne si applica anche ad altri ambiti includendo, per esempio, quello dell’allattamento al seno – ultima frontiera della dignità femminile, secondo i canoni di taluni e talune.

Quando questi argomenti vengono toccati, s’ergono palizzate senza che ci si interroghi su che cosa sta effettivamente provocando tutto questo fastidio. Qualcun@ dirà che è il sangue, il problema; si dirà che è il rigagnolo di latte materno, che è quel capezzolo esposto.Allattare al seno in pubblico, così come raccontare – verbalmente o per immagini – l’esperienza delle mestruazioni risulta socialmente inaccettabile perché inaccettabile è che le donne siano persone con un corpo avente altre funzioni rispetto quelle prestabilite dal desiderio maschile.


Sulla stessa scia, potremmo anche dire che, socialmente e proprio per questa ragione, la maternità sembra spesso essere simbolicamente la tomba dell’erotismo e della sessualità. Da una parte perché socialmente non esiste costruzione che unisca l’immaginario della mamma con quello dell’amante passionale e dall’altro perché, sempre socialmente, si prevede che la vita della donna ruoti attorno a quella del nascituro, relegando ad un secondo piano quella con il partner.

Con la maternità e con la trasformazione del proprio corpo – assieme ad alcune funzioni da esso espletate – la donna smette di incarnare l’archetipo della desiderabilità e viene declassata a madre: ad un essere elevato moralmente e idealmente ma che, proprio per sua elevazione, perde quasi ogni connotazione corporea. (Leggi anche: M.I.L.F – Mothers that incredibly like to fuck)

Ancora molte persone, oggi, non sono a conoscenza di questa intricata rete di rimandi di cui la nostra società è permeata. Ancora poche, invece, si rendono conto dello scheletro che attraversa ogni articolazione di questa tematica.

Un esempio di quanto si sia ancora poco consapevoli ci sopraggiunge proprio in questi ultimi giorni per via di uno spot pubblicitario firmato Nuvenia, azienda che produce assorbenti.

Di recente, l’azienda ha lanciato uno spot pubblicitario in cui, per la prima volta, il sangue mestruale appare rosso – com’è in realtà – cessando quella assurda tradizione di spot in cui veniva utilizzato un irrealistico liquido blu. Senza entrare nel merito di quelli che possono e potrebbero essere i soliti meccanismi di marketing atti ad attirare le proprie clienti scegliendo le “giuste e moderne narrazioni”, colpisce il tenore delle reazioni e le argomentazioni contro il suddetto spot – in cui, per intenderci, il frame in cui si scorge una mano nell’atto di versare da una provetta un liquido rosso e denso su un assorbente, dura, più meno, cinque secondi.

Qualcun@ ha scritto dicendo che certe cose dovrebbero essere private, qualcun@ altro ha commentato sotto al video, apparso sui social, utilizzando l’emoii dedicato al vomito – ripetuto a iosa – mentre qualcun altr@ ha dichiarato che certi spot, trasmessi in televisione all’ora di pranzo, le avrebbero fatto chiudere lo stomaco completamente. Qualcun altr@ ancora ha scritto di non saper dare spiegazioni di fronte alla curiosità espressa dal figlio di sette anni, qualcun altr@ ha scritto che, quella di Nuvenia, fosse una pubblicità vergognosa, indecorosa, di cattivo gusto – addirittura sessista.

In 452 commenti si contano, forse, sulle dita di una mano quelli che hanno argomentato il perché di tanto disgusto. Nessun@ se lo sa spiegare quel fastidio, quell’odio.


Il punto, ad ogni modo, è proprio questo: quel disgusto esiste ed è dentro di noi. E’ radicato così in profondità tanto che non ne riusciamo più a scorgerne l’origine. E’ come una bugia che si ripete all’infinito, che viene ripetuta così tante volte da non ricordarsi più il motivo per cui la si dice – e tanto a lungo da convincersi che sia, invece, la verità. Questo disgusto per le funzioni corporee del corpo delle donne, per le mestruazioni in particolare, ha una storia millenaria che si intesse di folklore, di religione, di controllo della fertilità femminile – potere enorme e, di conseguenza, pericoloso per il mantenimento dello status quo.

Questo disgusto per le mestruazioni affonda nel passato e, come il patriarcato, si evolve rimanendo però sempre uguale a sé stesso: si plasma, si modifica, trovi altri modi per esprimersi, altre giustificazioni ma, nonostante i secoli, la ragione ultima, il primo seme, è sempre lo stesso: il corpo delle donne, se non può essere controllato, se non può essere sfruttato per il proprio piacere, subisce una condanna.

Paradossalmente, sarebbe tutto più semplice se si ammettesse a chi è rivolto, davvero, quell’odio.

Attivista trans-femminista, insegna lingua e letteratura inglese a Milano ed è tra le co-fondatrici di Asterisco Edizioni, con cui ha pubblicato “Il corpo del testo. Elementi di traduzione transfemminista queer”. Ha scritto per Routledge, comparendo nel volume “The Routledge Handbook of Translation, Feminism and Gender”. Ha ideato un laboratorio di traduzione transfemminista queer, il quale è stato ospitato dalla Libreria Antigone di Milano, dal Festival di Scrittrici InQuiete di Roma, dalla Libreria delle Donne di Bologna e dall’Università degli Studi di Bari.

Comments (6)

  • Monica

    E’ tutto esattamente come lo descrivi. Quella telefonata la ricevetti anch’io da una zia, avevo 11 anni e da poco avevo avuto le prime mestruazioni. L’ascoltai farmi i complimenti perché ero diventata signorina provando molto fastidio. E ho continuato a provarlo tutte le volte che le ho sentite nominare con “le mie cose” dalle amiche, dalle compagne di classe, in seguito dalle colleghe, da tante donne che hanno imparato l’espressione socialmente accettabile per dire l’indicibile. Grazie per questo scritto in cui mi ritrovo, tanto.

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  • Flavia

    Mi colpisce che certi atteggiamenti maschili di fronte al corpo femminile ed alle sue funzioni, si perpetuino ancora oggi.
    A me capitò moltissimi anni fa di dimenticare in bagno un assorbente sporco, trovato poi da mio padre che uscì sconvolto, gridando a mia madre di insegnare l’igiene alle sue figlie…
    Mi sono sentita colpevole per anni.

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  • Gianluca Moro

    Un articolo molto interessante. Nonostante faccia parte di un’esigua parte di maschi che non ha alcun problema con le mestruazioni (né a parlarne in pubblico, né lo è stato nell’intimità di coppia), sono consapevole di questo muro, e allo stesso tempo non ci faccio comunque caso abbastanza, perché da un lato non è appunto un problema per me, ma questo non mi esime da non interessarmene, perché è comunque uno dei volti del patriarcato. E mi ha illuminato molto questa associazione legato al corpo femminile come o desiderabile o rifiutabile, in una dicotomia tremenda, manichea, annichilente (in primis per la donna che lo vive, certamente). L’unica strada è quella – a mio avviso – di una condivisione sempre maggiore e di un coinvolgimento del discorso mestruale (e in generale di ogni problema legato al patriarcato). Certo, ho dovuto discutere e “inimicarmi” uomini e donne, ma allo stesso tempo non mi sembra tempo perduto.

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    • Jan

      “Nonostante faccia parte di un’esigua parte di maschi che non ha alcun problema con le mestruazioni(…)”
      In questa premessa, se ci pensi un attimo, ci sono tutte le ragioni per cui nelle discussioni ti rendi antipatico a “uomini e donne”. 🙂
      E’ qualcosa che ha poco a che fare con lo “spirito critico” o la “discussione” e molto con supponenza, conformismo, ipocrisia, snobismo…

      Può anche essere che a tuo modo di vedere ogni altro “maschio” da te incrociato abbia “problemi” con le mestruazioni, ma non so se ci hai mai fatto caso, il proprio “vissuto”, più o meno reale o immaginato, non è un criterio di verità, nemmeno se lo ricami con stile e lo farcisci di pathos. Per esempio…

      “Bisognava fingere, fingere sempre che s’andasse al bagno per una qualsiasi altra ragione, specie se la classe la si divideva coi maschi. Loro non dovevano sapere: mai. Meglio la diarrea del sangue mestruale. Bisognava preservarli, i maschi, bisognava proteggerli dagli orrori che si celavano nelle nostre mutande.”

      … maschi…maschi… “ragazzi”, “uomini” non rende bene l’idea di fondo… …i “maschi”.?
      Non so dove e quando sia andata a scuola questa femmina, ma per quello che mi riguarda, trent’anni fa ormai, un quadro da cavernicoli come quello che ha descritto sopra io non l’ho mai visto, ma l’autrice eleva questo pezzo di prosa a verità fattuale universale riguardante i “maschi”. Gli assorbenti, da ragazzo quando andavo a fare la spesa, li ho comprati anche per mia madre, ma appunto, magari potrei essere una mosca bianca.

      Pertanto, messa da parte la propria esperienza personale “narrata”, quindi, molto alterabile dai propri pregiudizi ideologici, evitando quindi di parlare a nome d’altri (o “cucire etichette”), se cerchiamo di farci una idea che abbia qualche base fattuale, almeno a campione di cosa pensano di questo spot gli uomini e le donne, potremmo andare a leggere cosa ci dicono nei commentari sui canali ufficiali social di Nuvenia.

      Vediamo… Nel caso di youtube, per esempio, il rapporto tra commenti maschili e femminili tende allo 0,0x.
      E allo 0,0x tende anche il rapporto tra commenti femminili positivi per lo spot di Nuvenia e commenti femminili negativi. La tendenza continua anche allo stato attuale.

      Strano, vero? (*) 🙂
      La dottrina identitaria a cui aderisce la femmina che ha scritto questo pezzo, prevedrebbe che al messaggio di “empowerment” dello spot di Nuvenia, le donne sollevino il loro pannolino insanguinato come un vessillo di ribellione sotto il quale riunirsi senza più alcuna soggezione, mentre i loro oppressori, i “maschi”, inventori del sistema di potere che le opprime, il “patriarcato”, impotenti di fronte a tanta ribellione, e alla vista del sangue mestruale, si lascino andare a svenimenti, anatemi, discorsi perbenisti e moraleggianti, ora ridicoli e inutili tentativi di far tornare un senso di vergogna nelle donne ormai libere…
      E invece no: nella realtà, ii “maschi” non commentano lo spot di nuvenia, le “femmine” si, e non dicono solo “che schifo” ma anche cose notevoli come:

      “Vomitevole, complimenti al genio che l’ ha pensata. Di sicuro non è una donna”

      “Da come la interpreto io , abbiamo fatto cento passi per andare avanti e mille per tornare indietro . Quando è questo il ritratto della femminilità secondo voi . Agenti pubblicitari . Maschi immagino.(…)”

      “Che vergogna una patata che parla noi donne sempre oggetto anche in tv , tette culi ed ora vulva parlante”

      “È una brutta pubblicità senza pudore e dichiarate la donna oggetto”

      “Sono furibonda per la volgarità fi questa pubblicità. Solo un maschilista insensibile e male efucato poteva pensare una cosa cosi volgare e lesiva della privacy delle donne. (…)”

      “È una vera OFFESA verso noi donne!! Mi sento VIOLATA nella mia intimità di donna!!! ERO cliente ventennale di questa marca ma dalla messa in onda della pubblicità schifosa e vile ho già scelto una marca diversa,così pure le mie figlie e nipoti e amiche varie ! Pur di fare soldi venderebbero il cu.. della propria madre che li ha messi al mondo!.. Visto che ci siete fate la pubblicità degli uomini mentre defecano! Per la parità dei diritti no ?!!”

      “Esistono due tipi di pubblicità :una contro la violenza sulle donne,e l altra che l’ annulla.questa e una violenza che andrebbe condannata.” (**)

      Ma quello che spicca, comunque, stando al rapporto tra commenti maschili e femminili, come ipotesi più semplice, sarebbe che agli uomini sostanzialmente degli spot di assorbenti di nuvenia (e forse anche del sanguinare delle donne, al netto dei voli pindarici esposti nell’articolo) importasega.
      Il che è anche verosimile, banalmente per il fatto che un’azienda caccia soldi per pubblicizzare un prodotto allo scopo di incrementarne le vendite, e difficilmente l’azienda di comunicazione pagata allo scopo, si preoccuperebbe di fare qualcosa che attiri l’attenzione degli uomini per un prodotto scelto esclusivamente da donne.

      La realtà collide con la dottrina. Che fare?
      Semplice, quello che si è sempre fatto: continuiamo a cantarcela e a suonarcela secondo dottrina. ?
      Ed ecco che il tacere dei maschi e il protestare delle femmine riguardo alla campagna Nuvenia, come in questo pezzo di stile, continua ad essere descritta attraverso quella vignetta maskignegne del tizio che sviene davanti ad un assorbente col sangue, dopo aver visto con film di sbudellamenti, come se l’esser nato con un pene tra le cosce garantisca che ami film pugnipedatevolantipistolettate, non te ne f otta nulla se la tua compagna è piegata in due dai dolori per l’endometriosi, ma te di mestruazioni ne ne vuoi sentire parlare perchè sei “maschio” e “i maschi bisognava proteggerli” etc, Ovviamente, nel farlo, mancando totalmente l’ironia di usare le chiocciole la scevà tra un “i maschi” e l’altro, o scrivere cose come:
      “Detestavo quell’espressione per diverse ragioni. Innanzi tutto perché si trattava di un’etichetta che qualcun’altr@ aveva cucito sulla mia pelle senza chiedermi alcun permesso e, in secondo luogo, perché sapeva di patriarcato.”

      (*) In realtà no, nulla di strano. Nel marketing capita di sbagliare. Semplicemente questi https://www.brand-news.it/blog/marketing-blog/viva-la-vulva-spiegata-bene-strategia-nuvenia-essity-dietro-la-campagna/ hanno sbagliato il pinkwashing, si sono fidati troppo della pervasività di certa pubblicistica (tipo il pezzo che stiamo commentando) che negli ultimi anni è diventata infestante, pensando che il plauso che riscuote sia qualcosa di genuino e non semplice conformismo, non tenendo conto che molta gente dice cose come “Nonostante faccia parte di un’esigua parte di maschi che non ha alcun problema con le mestruazioni(…)” per sentirsi la parte migliore e più evoluta della società, seguendo la moda ideologica del momento, ripetendo frasari e slogan senza impegnare due neuroni a fare una analisi dei presupposti che danno senso a quello che ripete, e non perché abbia pensato a quello che sta dicendo.
      E così i “creativi” ingaggiati da nuvenia, hanno perso di vista che a nessuna donna adulta piace essere trattata come una ragazzina alle prese col menarca da educare all’autostima, o che al di fuori dei ricami e voli pindarici ideologici sul mestruo che mescolano tutto con tutto e che si fanno in certi ambienti, il sangue in generale, non solo quello mestruale, non sia tra i fluidi corporei che le persone abbiano particolare piacere a vedere, annusare, toccare etc o che il numero di donne che aderiscono alle dottrine esoteriche dove discorsi come questi https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/11/quanto-sono-belle-mestruazioni/740290/ o come quello del pezzo che stiamo commentando sono presi sul serio, non sono poi così tante come le si era stimate in fase di targeting, etc
      (**)Il che è interessante. 🙂 In ogni caso se qualcosa non va.. i “maschi”, il “sessismo”, la “violenza sulle donne”, etc.. è un lessico che ormai parte a riflesso condizionato e i creativi di nuvenia come tutti, in questi anni, del resto hanno colto questo elemento. Perciò hanno allestito il pinkwashing, ma non hanno tenuto conto che gli stilemi del femminismo della terza ondata su cui hanno compilato lo spot, a differenza di quelli della seconda ondata, non sono colti al volo da un campione sufficientemente vasto di donne.

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  • Elisabetta

    Articolo davvero interessante perché partendo dal “problema” delle mestruazioni, tocca parecchi punti cardine del patriarcato, spesso sostenuto dalle donne stesse.
    Proprio pochi giorni fa ho postato uno status che esprimeva il mio disappunto per i canoni della censura che si applicano solo in base alla parte fisica e non alla volgarità della rappresentazione: corpi femminili strumentalizzati e sessualizzati sono accettati purché “le zone della vergogna” siano oscurate. Rappresentazioni artistiche e poetiche del corpo femminile nella sua interezza invece, risultano ancora uno scandalo.
    Mi chiedo, quando finirà tutto ciò? Ma soprattutto, avrà una fine?

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  • Valentina Samperi

    Apprezzo molto lo stile asciutto della scrittura e il modo in cui l’argomento è narrato. Io, con due sorelle maggiori, non avevo idea di cosa fossero le mestruazioni e ho lottato per avere gli assorbenti per tutte nel cassetto della cattedra alle medie. Trovo ancora fastidioso il concetto di “signorina”, mi da l’idea dell’essere ratificata come carne finalmente pronta al macello. Da madre di due bambine ho già spiegato tutto, perché non siano tritate dall’ignoranza patriarcale che molte donne accettano come “cultura”.

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