TOP

Intersezionale

In Chiapas esiste una certezza: è la rivoluzione targata EZLN

In Copertina: Lorenzo Tlacaelel, CC BY 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by/2.0, attraverso Wikimedia Commons

Passano gli anni, ma dal 1 gennaio 1994 nel sud est del Messico, in una stato chiamato Chiapas esiste una certezza: è la rivoluzione targata EZLN. Un fulmine a ciel sereno nella notte dei bagordi della narrativa mail stream che cantava come una vittoria l’ingresso del paese nell’accordo di libero scambio con USA e Canada.

Un colpo al cuore del capitalismo neoliberista preparato per più di 10 anni, da quel 17 novembre 1983 giorno in cui sei persone ripresero in mano la storia delle Fuerzas de Liberacion National e iniziarono a costruire una guerriglia rivoluzionaria.

Nessuno e nessuna dei sei si aspetterà che le loro idee dovranno adattarsi al mondo indigeno, e il progetto rivoluzionario sarebbe dovuto cambiare radicalmente per aver forza, cuori e mani per diventare realtà. Ebbero l’intelligenza di ascoltare. Di capire. Di cambiare. L’EZLN divenne un qualcosa che rompeva con il suo passato, si faceva percorso autonomo, a cui chi voleva poteva rimanere aggrappato o entrare.

Julian Stallabrass from London, UK, CC BY 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by/2.0, attraverso Wikimedia Commons

27 anni dopo l’inizio di una lotta magnifica e storica uomini e donne delle comunità hanno deciso di uscire dalla zona rivoluzionaria e salendo in barca arrivare nel vecchio continente.

Un viaggio pazzesco, che affronta con spirito d’iniziativa il mondo del covid19, ricordando al mondo che il virus che porta morte e distruzione si chiama “capitalismo” ed il SarsCov è solo una conseguenza della violenza di un sistema basato sulla devastazione dell’ambiente e la disuguaglia sociale.

In un lungo comunicato stampa con cui hanno rotto il silenzio in cui la rivoluzione zapatista si era chiusa nel giorno di marzo in cui hanno annunciato il lockdwon del territorio rivoluzionario per proteggersi dal covid19 

“Che è di nuovo tempo che i cuori danzino e che la loro musica e i loro passi non siano quelli del rimpianto e della rassegnazione.Che diverse delegazioni zapatiste, uomini, donne e otroas del colore della nostra terra, viaggeremo nel mondo, cammineremo o navigheremo verso suoli, mari e cieli remoti, cercando non la differenza, non la superiorità, non lo scontro, tanto meno il perdono e la pietà.

Andremo a incontrare ciò che ci rende uguali.

Non solo l’umanità che anima le nostre diverse pelli, i nostri diversi modi, i nostri diversi linguaggi e colori. Anche e soprattutto, il sogno comune che, come specie, condividiamo da quando, in un’Africa che sembra lontana, abbiamo iniziato a camminare dal grembo della prima donna: la ricerca della libertà che ha animato quel primo passo … e che continua a camminare”.

Julian Stallabrass from London, UK, CC BY 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by/2.0, attraverso Wikimedia Commons

Il perchè di questo viaggio non è ancora chiaro. La certezza è che ha stimolato in diversi paesi europei entusiasmo forse perso dietro al dramma della sindemia, la creazione di assemblee nazionali e reti europee per costruire/preparare il viaggio e l’accoglienza di compagne e compagni.

L’annuncio del viaggio è arrivato con tre comunicati, che vanno a ritroso. Si è iniziato con il sesto, poi il quinto e quindi il quarto. A breve arriveranno anche gli altri. Questa non è una novità per la storia degli Zapatisti e della rivoluzione chiapaneca.

Il secondo, o meglio quinto comunicato, inizia così “Supponiamo che sia possibile scegliere, ad esempio, il modo di guardare. Supponiamo di potervi liberare, anche per un attimo, dalla tirannia dei social network che impongono non solo cosa guardare e di cosa parlare, ma anche come guardare e come parlare. Quindi, supponi di guardare in alto. Molto in alto: dal più vicino al locale al regionale al nazionale al globale. Lo vedi? È vero, un caos, un pasticcio, un disordine. Quindi supponiamo che tu sia un essere umano; ebbene, non è un’applicazione digitale che, rapidamente, guarda, classifica, gerarchizza, giudica e sanziona. Quindi scegli cosa guardare… e come guardare. Potrebbe essere, è un’ipotesi, che guardare e giudicare non siano la stessa cosa. Quindi tu non solo scegli, ma decidi. Cambiare la domanda da “questo è male o bene?”, a “cos’è questo?”. Certo, la prima domanda porta a un invitante dibattito (ci sono ancora dibattiti?). E da lì al “Questo è male – o bene – perché lo dico io”. O, forse, c’è una discussione su ciò che è bene e male, e da lì agli argomenti e alle note a piè di pagina. È vero, hai ragione, è meglio che ricorrere ai «like» e «manina in alto», ma ti ho proposto di cambiare il punto di partenza: scegliere la meta del tuo guardare”.

Il quarto, e quindi il terzo, in ordine cronologico d’uscita si trova una citazione storica, del 1995, di uno dei personaggi immaginari del Subcomandante Marcos, personaggio con cui è riuscito a mettere a mò di fiaba la narrazione della critica al neoliberismo e così farsi capire da donne e uomini indigeni 

“Vi ricordo che le divisioni tra i paesi servono solo a definire il crimine di “contrabbando” e a dare un senso alle guerre. È chiaro che ci sono almeno due cose che vanno oltre i confini: una è il crimine che, mascherato da modernità, distribuisce la miseria su scala mondiale; l’altra è la speranza che la vergogna esista solo quando si sbaglia un passo di danza, e non ogni volta che ci guardiamo allo specchio. Per abbattere il primo e fare fiorire la seconda, è necessario solo lottare ed essere migliori. Il resto va da sé ed è quello che di solito riempie biblioteche e musei. Non è necessario conquistare il mondo, basta rifarlo. Salute, e sappiate che per l’amore il letto è solo un pretesto; per il ballo una canzonetta è solo un ornamento; e per lottare la nazionalità è solo un incidente puramente circostanziale”.

Il nostro racconto dello zapatismo, del suo legame con altri movimenti e rivendicazioni politiche inizia così, al contrario, dall’ultima proposta del movimento.

Post a Comment