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protesta per il clima

Sono i giovani consapevoli dei propri diritti?

Cercare di capire in quale contesto sociologico si muovono le giovani ed i giovani attivisti per il clima di questi anni è certamente importante per analizzare il percorso futuro possibile di questa generazione. Lo scopo è rispondere alla domanda “cosa c’è dietro l’angolo”, quesito che tutti noi adulti ci poniamo guardando al futuro dei nostri figli, la loro risposta sbarazzina potrebbe essere “quel poco che ci avete lasciato”, e sarebbe assolutamente appropriata.

Ma per fotografare questo momento della nostra società, è necessario fare alcuni passi indietro. Partiamo quindi dal concetto di individuo e di quale sia il passaggio che lo trasforma in soggetto. L’individuo si preoccupa dei propri diritti, e il giovane individuo li impara a conoscere, li scopre nel suo processo di maturazione.

In realtà i giovani non sono stati in tutte le stagioni consapevoli dei propri diritti.

La maggioranza dei ragazzi o ragazze degli anni ’50, agli albori degli studi sociologici in Italia, erano apatici e delusi di una politica che li aveva fatti nascere o in una dittatura o nel bel mezzo di una folle guerra. Una generazione che non aveva confronto e rapporti semplici con i genitori e, in genere, con gli adulti. E la sociologia ha fatto fatica a studiarli. I pochi studi e inchieste disponibili ci fanno scoprire che loro erano tutti concentrati nell’apprezzare i primi, timidi, segnali del “benessere”, che per loro sarebbe diventato presto il primo diritto importante, visto che quello precedente era semplicemente sopravvivere alle barbarie del regime fascista e, successivamente, della guerra.

In questa epoca il o la giovane guarda al futuro possibile in bilico tra due stati d’animo: la brutta avventura della guerra è troppo vicina perché possa dimenticarne gli orrori e, d’altro canto, le promesse per uno “sviluppo”, che nessuno mette in discussione, sono comunque ancora troppo incerte per alimentare aspettative ottimistiche. Non parliamo del ruolo della donna, le differenze di genere sono ancora molto marcate e le giovani donne sono ancora relegate nell’ombra del privato e del domestico.


Per dirla alla Baudrillard, l’individuo in questa fase è legato al valore d’uso degli oggetti che acquista, oggetti che risolvono il suo bisogno concreto di consumatore. E anche il giovane risente di questa situazione, non ha molte scelte, e si preoccupa di accedere a beni primari, seguendo la logica funzionale del valore d’uso. Secondo il sociologo Alain Touraine in questa fase abbiamo a che fare con l’«individuo consumatore», verso il quale le imprese guardano con attenzione per meglio affinare le loro strategie di marketing.

Anche se non siamo nel vero e proprio boom economico, che arriverà con la fine degli anni ’50 e gli anni ‘60.

È allora che per i giovani si aprono nuovi spazi di autonomia, di cauta emancipazione dalla famiglia, di adozione di nuovi stili di vita nel tempo libero, di graduale abbandono della sottomissione alle autorità tradizionali. Il cambiamento parte dagli USA e poi arriva in Europa, fino al nostro paese.

Si comincia con la musica, che diventa la vera rivoluzione entrando nel DNA dei movimenti giovanili, e che inizia a raccontare la confluenza di tre fattori di movimento: la lotta per l’affermazione dei diritti civili degli afroamericani, le rivendicazioni di libertà di parola e l’azione collettiva degli studenti in molte università di prestigio e la pace, con l’opposizione all’impegno militare americano in Vietnam e in altre regioni del mondo.

Ecco allora che si vede «l’individuo comunitario»: i giovani, in quanto individui, vogliono vivere con chi ha le stesse convinzioni religiose o identità culturali. Touraine guarda con interesse a questa fase. Quella in cui i giovani diventano progressivamente coscienti e, quindi, potenzialmente artefici della propria storia; artefici delle organizzazioni stesse, degli investimenti, dell’accumulazione, così come degli orientamenti particolari e generali, o meglio, di quegli orientamenti che sono il frutto dei rapporti sociali e che rappresentano l’humus intorno al quale è possibile che si formi uno sfondo culturale comune. E queste tematiche egualitarie si intersecano, negli anni ’70, con il movimento delle donne e la sua radicale rimessa in discussione del regime di genere.

Con gli anni ’80 i movimenti giovanili scompaiono dalla scena, oppure si inabissano assumendo un andamento carsico, come direbbe Paolo Flores D’Arcais. Ogni tanto ritornano i movimenti pacifisti (soprattutto in momenti di tensione internazionale o in occasione di interventi armati nel mondo). Stessa sorte per il movimento delle donne, che pare subire il riflusso.

Per i giovani movimenti ecologisti è il momento della istituzionalizzazione che porta alcuni risultati importanti: no al nucleare, la rivoluzione delle rinnovabili e le 4R dei rifiuti, la difesa del suolo e la legislazione sulla agricoltura biologica ma, almeno in Italia, faticano a strutturarsi in modo stabile.



Arriviamo, infine, al mondo contemporaneo in crisi economica e valoriale.

Essere giovani in tempo di crisi vuol dire vivere con uno stato d’animo che oscilla fra la depressione e l’euforia. Piuttosto che pensare al futuro, che non si sa in alcun modo prevedere, è utile cercare qualche soddisfazione in un eterno tempo presente. Del resto, vuol dire anche fare parte di quella maggioranza silenziosa per niente rappresentata nei luoghi della politica e del potere.

Ed ecco, allora, nascere una generazione che vuole affermare i propri diritti, ritenendoli diritti universali. Qui ci troviamo di fronte a «soggetti» illuministicamente intesi.

Sempre seguendo l’analisi di Alain Touraine, “il lavoro, la pratica di produzione della società da parte degli attori che la compongono – l’azione dell’uomo sull’uomo – diventa, a tutti i livelli, una pratica culturalmente orientata e, allo stesso tempo, creatrice di orientamenti.”

In mancanza di intellettuali di riferimento, tanto importanti e utili negli anni passati, ci sono ragazze e ragazzi disposti a mettersi in cammino, soprattutto insistendo sulla cura del Pianeta e grazie a questo creano un legame sociale. È la grande affettività, cara al sociologo francese, la vera novità e il vero collante. Quindi non abbiamo a che fare con movimenti sociali, di sessantottiana memoria, ma di individui che considerando universale il diritto alla sopravvivenza, si incontrano e progettano iniziative per evitare l’estinzione. E’ così che queste giovani e questi giovani hanno tentato di sostituire i simboli del marketing con quelli che per loro sono i valori simbolici, combattere la crisi climatica e il surriscaldamento del Pianeta.

Certo, sociologicamente parlando, le tre categorie proposte dal pensatore francese sussistono nella società e addirittura anche contemporaneamente nella medesima persona: l’individuo consumatore, quello comunitario e il “soggetto”, interpretato da persone e attori sociali che posseggono la capacità di elaborare orientamenti a partire dalle proprie pratiche, dalle proprie esperienze e dalla riflessività del sé.

Per questo è fondamentale, per la sopravvivenza della nostra specie, aiutare queste giovani e questi giovani a far valere i loro diritti personali, che sono i diritti di noi tutti, se vogliamo continuare ad esistere.

Ecologista, giornalista, scrittore. Tra i fondatori dei Verdi dell’Emilia Romagna, è attualmente Responsabile comunicazione Capo ufficio stampa della Federazione dei Verdi. Fondatore dei comitati Bo.Bi e animatore dei Girotondi e del Popolo Viola. Il suo ultimo libro “Come osate” ripercorre l'avventura dei Fridays For Future attraverso le testimonianze dei suoi attivisti.

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