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Berlino e Techno

Techno: Berlino POST-89 e la sua funzione simbolica

Se nella prima riflessione ho voluto tracciare una breve “genealogia” della (sub)cultura techno, qui vorrei invece analizzare la sua funzione simbolica nella contemporaneità della Berlino neoliberale.
Per fare ciò vorrei innanzitutto partire dal concetto già citato di Teilhabe (partecipazione) con cui la techno berlinese sancisce il proprio progetto fra culturale e politico sulle macerie del Muro:

“Tutto era connesso con le lotte per la condivisione, ma non in un contesto di discoteca classico” (Denk and von Thuelen 2014) 


Una domanda pareva risuonare nel post-89:  a chi appartiene l’Est?

Berlino Ovest aveva rappresentato una sorta di isola della politica antiautoritaria ma esattamente per questo era diventata satura: a differenza di qualsiasi altra città le era impedito di espandersi dalla cortina fisica e politica che aveva intorno a sé. L’epoca dell’Autonomia, forte nei quartieri una volta periferici come Kreuzberg, aveva incontrato la sua parabola discendente nella repressione quanto nell’istituzionalizzazione degli spazi occupati.

Lo spazio pubblico aveva mostrato ormai i suoi limiti ma la caduta aveva aperto uno spazio altro oltre il confine, ne aveva messo in discussione i principi e rappresentava una rottura del tempo della Storia stesso: una breccia verso il Leer (vuoto) di uno spazio senza Stato. Berlino Est aveva smesso di essere la Haupstadt der DDR per diventare un non-luogo o forse meglio il luogo dove tutto diventava immaginabile

“”C’erano cosi tanti grandi appartamenti poco costosi, così tanto Leerstand (aree libere, lett. ciò che sta vuoto) che ci si poteva trasferire ogni mesi[…] ma soprattutto non dominava pressione commerciale alcuna” (Denk and von Thuelen 2014)

Palazzi abbandonati al tramonto del Tempo, ora luoghi di cui riappropriarsi attraverso un’alleanza di corpi qual era quella costellazione di occupanti, punk, psiconauti, Queer e fuggitivi da una società anfetaminica che si incontrava nella disfonia di un suono interrotto, performance di un presente interrotto da rimixare. Luoghi radicalmente altri fuori non solo dalla Legge politica del valore ma anche da quella simbolica del Padre in tutte le sue declinazione: tanto la Patria quanto il Patriarca.

La riappropriazione diventa il leitmotiv delle TAZ (le Zone Temporaneamente Occupate) che viene espressa anche dalla prima etichetta indipendente di Berlino Est: la Mastermind for Success, la cui sigla MfS, ricordava volutamente quella del Ministerium für Staatsicherheit, meglio conosciuta come STASI. Il tempo storico non veniva cancellato ma si giocava ai margini di quel tempo per fare in modo che diventasse qualcos’altro. Questo passaggio è segnato dalla Techno alla Tekkno e dalla fondazione della DT64, nel 1991, la Jugendradio (la radio della gioventù) la prima stazione radio dell’Est a dare spazio alla musica elettronica.

Nelle parole della fondatrice Marusha troviamo ancora una volta quella reinterpretazione della Teilhabe che muovendo dalla narrazione stessa della DDR aveva finito per negarla:

“Per me era importante non creare una frequenza per astri nascenti, non volevo glorificare nessuno, piuttosto mostrare che chiunque potesse farlo. Era la ricetta per il successo. Non c’era nulla del genere in Germania.” (Denk and von Thuelen 2014)

Eppure questo Movimento dovrà affrontare un nemico ancora più pericoloso della Repressione ovvero la Sussunzione.

Il filosofo contemporaneo Han spiega in Warum heute keine Revolution möglich ist, di cui non condivido la sintesi pur condividendo l’analisi dei processi,  come il capitalismo tardo-capitalista abbia smesso di essere semplicemente disciplinare come nella società industriale (in questo caso direi da entrambi i lati del Muro), abbia smesso di reprimere e sovradeterminare dall’alto i corpi e abbia iniziato a sedurli, affinché la stessa psiche fosse sussunta dai processi di valorizzazione del Capitale, affinché il dramma sociale diventasse una precarietà esistenziale del singolo, l’unico responsabile del Sé di fronte all’Io.

Han qui pone il passaggio dalla Biopolitica alla Psicopolitica in una forma più pervasiva della classica regolazione del corpo, che impedisce al soggetto quel processo di soggettivazione come Alterità rispetto al Capitale, fino ad arrivare a pensarsi come imprenditore di sé stesso. La critica qui non viene più repressa ma rideterminata, ogni cosa, anche la solidarietà attraverso la cosiddetta Sharing Economy, viene riconvertita in valore, commercializzata. La techno (che ritorna sulla Tekkno, troppo “dura” per essere addomesticata) e la Berlino riunificata non sono esenti da questi processi ma ne diventano addirittura fulcri.

E’ in questi anni che compare la cosiddetta Berliner Krankenheit (la sindrome del Berlinese), di cui parlerà Johnnie Stieler, fondatore del Tresor, rispetto ai suoi colleghi di produzione Dimitri e Achim:

“Si sedevano da qualche parte con le unghie sporche, senza soldi e sperando che qualcuno passasse ancora un joint. Una letargia totale. […] Senza muoversi. L’incarnazione della sindrome del Berlinese. La caduta del Muro come metafora: era come se Dimitri avesse aperto una porta, visto una Trabant, richiuso la porta e si fosse messo a letto sotto una coperta”

Questo “mix di ansia e depressione, il cui esisto è un abbassamento delle capacità produttive, risolto attraverso farmaci che provocano insonnia e sbalzi d’umore” è più noto come Burn-out, oggi tristemente diffuso fra la gioventù precaria. Sempre in quegli anni l’amministrazione berlinese trasformerà la techno in un brand. Berlino povera ma sexy dirà un famoso Sindaco della città: perché reprimere l’antagonismo di questo movimento se posso sedurlo, confinarlo nei limiti di uno spazio pubblico commercializzante e istituzionalizzante? La parabola di tutti gli spazi occupati che diventano Club ufficiali seguirà questa traiettoria. 

Il 3 Ottobre 2020  la Città di Berlino ha celebrato il Tag der Clubkultur  “Giorno della cultura clubbing”, ufficialmente sponsorizzata dal Governo per ricordare che la Techno berlinese non è morta con il lockdown e per raccogliere fondi per i Club in difficoltà. Da un lato potrebbe sembrare semplicemente l’ennesima operazione di branding  e sicuramente lo è. Questo significa che la Techno diventa semplicemente l’ennesimo strumento del potere? A mio avviso questa visione è semplicistica.

La Techno che era la musica delle Possibilità, diventa la musica della precarietà. “Una musica fatta di suoni ripetitivi e senza parole, senza messaggio” spesso si sente dire. Eppure ha un successo enorme fra chi è nato a ridosso del crollo del Muro. La musica elettronica non ha un messaggio chiaro, non ha nemmeno dei significati fissi. La techno è Simbolica, è come direbbero Laclau o Lacan “un significante vuoto”.

Ma vuoto non significa niente, significa non fissato mobile, riarticolabile.

La musica elettronica suscita stati d’animo e non immagini, smuove il nostro inconscio, si fa simbolo diverso a seconda di chi la ascolta, pur sempre nella costellazione di oppressioni diverse, ci racconta, ci mette davanti alla nostra condizione disfonica mentre siamo con l’Altr*

La techno parla  alle nostre ansie e delle nostre ansie con i suoi suoni ripetitivi e a tratti inascoltabili e incomprensibili come la realtà in cui viviamo e che dobbiamo sopportare ma la cui pesantezza viene da noi esorcizzata attraverso questa contraddittoria sublimazione, che ci permette di farla nostra, anche solo per una notte.
Le sostanze che vengono assunte, perlopiù anfetamine e MDMA, definite “Feierndrogen” (droghe da festa) contro le Egodrogen (le droghe dell’Io come la cocaina) insieme ad altri al fine di condividere un’esperienza che funge da riappropriazione dell’iperattività sociale cui il soggetto è sottoposto: un moto contraddittorio che muove dalla società anfetaminica alle anfetamine stesse.

La techno parla di euforia e rassegnazione, di forza e debolezza.

La techno  non viene agita alla luce ma nelle ombre del Club che si fa simbolo di una parte di un Noi escluso, relegato ai margini della Ragione che esclude mentre illumina.

La musica elettronica parla a tutt* e a nessun* in particolare, viene riarticolata a seconda del contesto e dello spazio.

La techno esiste e non esiste davvero in uno spazio fuori dal tempo storico della società neoliberale: la techno è resistenza al Tempo preordinato.

Questo suono è precaria come la nostra generazione, rappresenta una generazione senza referenti ma con tante domande.

Stigmatizzarla significa non comprenderne i tratti simbolici esattamente come questa società non comprende il dramma della precarietà. La techno, pur nella sua forma sussunta,  potrebbe rappresentare una sorta di decostruzione del concetto tecnico di armonia, di estetica classica che normativizza l’arte: il punto non sta nel rifiutare tale contraddizione quanto comprenderla al fine di non cadere nella dicotomia tossica che oggi tormenta le analisi di ogni fenomeno sociale a sinistra, rivoluzionario vs reazionario. Tale dicotomia diventa l’esultanza acritica per l’ennesimo nuovo Leader della sinistra come l’attesa messianica della rivoluzione pura in politica, mentre diventa  la divinizzazione dell’ennesimo “genere musicale degli ultimi” mentre questo diventa brand come  la chiusura nostalgica su ogni genere musicali devi dai “classici” della tradizione operaia nella musica.


La Techno performa la precarietà mettendola in musica, svelandone i tratti discorsivi attraverso un’alleanza di corpi, la mette a nudo fra la soggettivazione di un’Alterità che se ne riappropria e l’assoggettamento delle sussunzione capitalistica che su questa crea valore, divenendo il simbolo della contraddizione che non vogliamo affrontare. 

Denk, Felix, and Sven von Thuelen. 2014. Der Klang der Familie: Berlin, Techno und Wende. 2020th ed. Berlino: Suhrkamp.

Leggi Anche: PER RICOSTRUIRE UNA BREVE STORIA DELLA TECHNO BERLINESE DOBBIAMO TORNARE AGLI ANNI IN CUI DI BERLINO CE N’ERANO DUE.

Davide Curcuruto (1996) messinese laureando in Sociologia e Ricerca Sociale fra l'Università di Bologna e la Humboldt Universität di Berlino, attivista Queer nel collettivo La Mala Educación e la rete B-Side Pride. I suoi interessi accademici di inseriscono nell'intersezione fra la Sociologia Economica, i Gender e Subaltern Studies nel contesto mediterraneo.

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