TOP

Intersezionale

coppia

RACCONTO: Terra bruciata

Chrome, “Anorexic Sacrifice”. Raining Milk, Mosquito, 1983.

di Luca Sereno

Mi chiamo Davide e peso centoquarantadue chili.

Ma non sono stato sempre così.

Quando ho iniziato a ingozzarmi era il periodo allarme anoressia.

Le prime top model che iniziarono a denunciare il problema portavano una trentasei. Sono la caricatura sessualizzata dei bambini del Biafra, del Mozambico.

Passeggiano sotto gli occhi di tutti, un piede dopo l’altro, femmine fantasma dalle forme scheletriche, gambe sottili come braccia, braccia sottili come polsi, esseri quasi inesistenti sotto strati di tessuti d’alta moda.

A ogni passo le loro caviglie oscillano incerte sul sopportare ancora qualche metro, o sgretolarsi nella loro inconsistenza.

E mentre il mondo le additava come vittime sacrificali di una cultura basata sull’estetica, io iniziavo a ingozzarmi. A divorare cibo. A nascondermi.

Luca (il mio psicologo) direbbe che tutti abbiamo bisogno di un’armatura. Luca direbbe che il grasso è la mia forma di autodifesa. Il mio giubbotto antiproiettile, la mia tenuta antisommossa.

Ma questa storia deve iniziare un po’ prima.

È il 2006 quando peso sessanta chili e ho sia un lavoro sia una ragazza.

Martina fa la commessa in un supermercato, io ho iniziato da poco a lavorare come magazziniere. Ci siamo appena liberati dall’incubo del “fine mese”.

Dopo una cena al ristorante che ci ha lasciato alticci, ora siamo in bagno mezzi nudi. Lei è davanti allo specchio appena uscita dalla doccia. Profuma di camomilla.

Mi fermo alle sue spalle e le appoggio le mani sui fianchi. Maliziosa spinge il suo sedere contro il mio pube. Ci guardiamo riflessi nello specchio. La mia testa spunta oltre la sua. La mia mano scivola verso il suo seno abbondante. Siamo contenti.

Arrivo al lavoro. Indosso la divisa, mi infilo nella fondina la pistola barcode. Comincianole otto ore in magazzino. Sposto prodotti da un punto A a un cestino B. Un conto alla rovescia sul display della mia pistola mi dice quanto tempo ci devo mettere tra un’operazione e l’altra. Lo dice sia a me, sia al responsabile di settore. Percorro ogni giorno una ventina di chilometri al ritmo di marcia. Ogni giorno sposto milleduecento prodotti. E in teoria dovrei farlo con il sorriso di chi non deve più preoccuparsi delle bollette, di chi può permettersi una cena al ristorante, di chi è in grado di organizzare una vacanza vera, una di quelle con tante ore di volo.

Come direbbe Luca, le cose non vanno quasi mai come uno ci si aspetta, perché alla fine dei conti la realtà fa il cazzo che le pare.

Due mesi prima festeggiavo con Martina il contratto di sei mesi, oggi invece non ho neanche più le forze per immaginare di festeggiare. Peso dieci chili in meno di allora, la mia vita sociale è annullata, e quando torno a casa sono persino troppo stanco per fare l’amore con la mia ragazza. Troppo stanco per cenare, per guardare un film, per incontrare gente, per gestire la mia relazione. A fine turno vorrei solo morire in pace.

Ma non posso.

Lei anche è stanca, nervosa, e da qualche tempo si è fissata che deve perdere peso. Così ogni giorno Martina mi manda un messaggio con tutto quel che devo prendere al supermercato. Compro solo prodotti bio, verdure sane senza pesticidi, carne senza ormoni, uova da allevamento a terra, pane integrale, pasta integrale, latte senza lattosio. Quando arrivo a casa cuciniamo. Parliamo pochissimo. La nostra cena dura meno di un telegiornale di Sky tg24, poi io mi lavo e vado a dormire, lei resta davanti al portatile alla ricerca di qualche metodo per il dimagrimento veloce.

Passano due mesi, io perdo altri cinque chili, lei li prende.

Martina è nuda in bagno davanti allo specchio. Si pizzica la pancia, si guarda di profilo, si strizza il culo, si concentra su un inizio di cellulite, si solleva il seno con le mani, allarga le braccia a croce e fa sballonzolare la ciccetta molle dei tricipite. Ha le sopracciglia che convergono e la fronte piena di rughe.

Dice, faccio schifo.

Mi metto alle sue spalle e le appoggio le mani sui fianchi, mi avvicino per baciarla ma lei si scansa e mi sposta le mani. Lasciami stare, davvero, non mi va.

Mi dice che ha sentito parlare due colleghe. Scimmiotta la loro voce con una tonalità da gallina, Ma dove deve andare con quel culone?… Ma hai visto le tette, le arriveranno all’ombelico. Il suo viso è un miscuglio di rabbia e tristezza.

Hanno detto che sono inchiavabile.

Le asciugo una lacrima solitaria, l’abbraccio, la bacio, e poi dopo tanto tempo, troppo, facciamo l’amore, lì, appoggiati al lavandino. Ma è un atto meccanico, con la testa siamo entrambi altrove. Dopo un po’ smettiamo, insoddisfatti e sudati. Rimaniamo per qualche minuto uno vicino all’altra, poi lei si rimette davanti allo specchio con lo stesso sguardo incupito di prima.

Le dico di finirla, le dico che è bellissima. Da quando dai retta a queste cazzate?

Lei mi guarda di storto, dice che non sono cazzate, è la verità che non ci vogliamo raccontare. Io sto diventando grassa e molle, e tu… Tu ormai sembri un deportato. Hai le occhiaie, sei senza muscoli e con la pancetta da alcolista, ti si vedono le costole, sei gobbo. Per una volta siamo sinceri con noi stessi. Facciamo schifo.

Mi infilo sotto la doccia, l’acqua calda mi gocciola in testa. Piango.

Alle volte bastano un paio di parole dette dalla persona giusta a incasinarti la vita.

Luca dice che c’è chi si corazza per affrontare la battaglia, e chi invece brucia i raccolti, elimina le scorte, e infine riempie di tritolo il proprio castello. Questa strategia militare si chiama “terra bruciata”.

Tutti vogliamo solo vincere la nostra guerra.

Per la prima notte io e Martina dormiamo separati. Come nel più classico dei cliché, lei nel letto e io sul divano. Punto la sveglia sul cellulare novanta minuti prima del solito. Quando suona fuori è buio, Martina dorme nel nostro letto, io ho ancora le caccole attorno agli occhi. Mi sdraio per terra, piazzo i piedi sotto al divano e comincio.

Uno. Due. Tre…

Il bruciore ai muscoli addominali diventa presto insopportabile e allora mi fermo, ruoto a pancia in giù, punto i piedi, piazzo le mani all’altezza delle spalle e spingo.

Uno. Due. Tre…

A questo punto sono sveglio. Squat. Altri addominali. Altre flessioni. Squat

Quando esco di casa per andare in magazzino, Martina è seduta davanti al computer alla ricerca del metodo perfetto per perdere peso in poco tempo.

Io e Martina iniziamo a condurre vite parallele. Siamo coinquilini scomodi, sconosciuti che condividono le stesse mura, separati in casa. Lei dorme in camera, io in salotto. Facciamo il possibile per evitarci, nessuno cerca lo spazio dell’altro, gli unici punti di incontro sono ogni tanto la cucina, e quando capita per sbaglio, il bagno.

Mi guardo allo specchio: ero magro, resto magro. Ho solo qualche centimetro di pancetta in meno. Ma di massa non se ne parla. I quattro esercizi alla mattina ci mettono poco a diventare inutili. Mi iscrivo in palestra.

A colazione mangio dieci uova, flessioni, addominali, sbarra, squat. Dopo una doccia corro al lavoro. Le mie otto ore sono scandite da quattro pastiglie di integratori. I venti chilometri a ritmo di marcia, i milleduecento prodotti da spostare, adesso li posso reggere facilmente. Questo è l’unico posto che mi paga per allenarmi, esercizio cardio e potenziamento di glutei e quadricipiti a poco più di mille euro al mese.

A fine turno mi cambio, prendo la metropolitana e vado in palestra per tre ore.

Prima di arrivare a casa passo ancora a fare la mia spesa. Oramai io e Martina facciamo pasti separati, mangiamo cose diverse, facciamo spese da single. Io mangio solo uova crude e pesce. Tranci di pesce, pesce al cartoccio, pesce in padella, pesce al forno, pesce in umido. Trangugio uova, mangio pesce, ingoio pastiglie e bevo integratori. Amminoacidi, vitamine, caffeina, creatina, tutto quel che serve per mettere su muscoli, chili, massa.

Non ho idea di che cosa si nutra Martina ma, a giudicare dal sua parte di frigorifero. mangia ogni tanto due foglie di insalata marcia, alle volte una mela, per lo più aria.

È quasi l’ora di cena, sono tornato da poco dalla palestra e mi sto concedendo un’altra sessione di trazioni alla sbarra.

Sento Martina aprire il frigo e richiuderlo senza prendere nulla. Mi raggiunge in corridoio. Il mio corpo continua a fare su e giù. Mi si piazza davanti. Indossa un paio di pantaloni sciatti, come quelli che si comprano ai banchetti indiani, larghi, molli, macchiati di succhi gastrici e cibo non digerito, e una magliettina bianca scollata che le cade addosso larga come un pigiama, la stessa maglietta che una volta riempiva alla perfezione mostrando dalla scollatura una linea spessa e profonda dove i due seni si incontravano.

Sono brutta? Mi chiede mentre annaspo sulla penultima trazione.

La guardo e non le rispondo. Tengo l’ossigeno che mi servirebbe a dirle che forse ha qualche problema per quell’ultima spinta verso l’alto. Le vene degli avambracci mi si gonfiano disegnando una mappa fluviale del mio sistema circolatorio, il muscolo esplode nella sua potenza espandendosi in volume. La pelle tesa, aderente, sudata.

Martina mi oltrepassa indifferente e si infila sotto la doccia.

La raggiungo dopo poco. È girata di schiena con l’acqua che le cade in testa incollandole addosso una chioma di capelli neri e lisci, le spalle che sobbalzano al ritmo del suo respiro disperato. Adesso è così magra che le vedo la spina dorsale, le costole, le ossa del bacino. Lei sa che la sto osservando, e nel tempo di questo silenzio che ci separa cerco delle parole adatte, come una mano cieca che rovista sul fondo di una borsa. Ma in questa borsa ci sono solo fazzoletti sporchi di lacrime e scontrini di rabbia accartocciati. Alla fine me ne vado, senza dire una parola, lasciandola sola con le sue ossa.

Esercizio, integratori, sudore, acido lattico, pene rattrappito.

Dieta, vomito, apatia, succhi gastrici, specchi rotti.

Più io spingo meno lei mangia, più mi ingrosso più lei dimagrisce, più sento il bisogno di specchiarmi meno lei vuole guardare la sua immagine riflessa.

Il sesso è diventato un ricordo, una vibrazione di piacere nella memoria, come quegli odori di primavera che ti riportano alla mente le gite scolastiche, i primi amori, i baci con la lingua, le mani sotto la magliette.

Ma come dice Luca, la realtà fa il cazzo che le pare.

La realtà è che neanche mi viene voglia di baciarla. Quando la vedo nuda, tutto ciò che mi passa per la testa sono percentuali di massa magra e massa grassa. Vorrei obbligarla a fare squat per rimpolpare quel culo secco, per farle tornare l’appetito e rifocillare le sue tette.

La realtà è che, messa come è messa, è diventata davvero inchiavabile.

Il suo alito puzza di acido e vomito, la bocca emana un tale fetore che mi farebbe persino schifo farmelo succhiare.

La realtà è che in questo preciso momento qualsiasi donna mi risulta inchiavabile.

Il soldatino dal casco a fungo si rifiuta di stare sull’attenti. E non importa chi abbia di fronte, per lui non fa differenza. Se ne sta sotto le coperte a dormire. La testa rosa nascosta in un tubo di carne raggrinzito.

Ansia, stress, nervoso, tutta roba che non aiuta l’erezione. Ma anche anabolizzanti e steroidi hanno i loro effetti.

Passa altro tempo e divento un ammasso di muscoli. Adesso ho il corpo a V, spalle larghe come un pullman, pettorali grossi come il cofano di un furgone, la circonferenza del bicipite è quella della ruota di un motorino, gli addominali sporgenti come dossi stradali, le gambe spesse come ruote di un fuoristrada. Solo la testa e il cazzo sono rimasti invariati, anzi, il secondo si è rimpicciolito come il corpo di un bambino del Biafra, come il busto, le braccia e le gambe di Martina. Le mie palle sono così piccole è rattrappite da assomigliare a biglie, così piccole da poterle incastrare nei bulbi oculari scheletrici di Martina.

Siamo uno l’opposto dell’altra. Tutto ciò che ci unisce è la perseveranza verso la nostra meta.

L’unica cosa che vogliamo è vincere la nostra guerra.

C’è chi si corazza per affrontare la battaglia, chi indossa un’armatura di deltoidi, bicipiti, pettorali, addominali, tutto per sconfiggere i propri fantasmi, tutto per arrivare a tappare una crepa nella diga dell’insicurezza dalla quale esce troppa acqua.

E c’è chi invece, come Martina, che brucia i raccolti, elimina le scorte, riempie di tritolo il castello, si siede a gambe a penzoloni sulle mura di cinta, e aspetta con pazienza l’arrivo dell’esercito fantasma. A un passo dall’assedio prima che giungano alla rocca, fa brillare tutto, se stessa compresa.

Ero troppo impegnato sul mio fronte per poterla osservare piazzare le cariche di tritolo sui suoi pilastri portanti. Era come vederla passeggiare per casa con bancali di dinamite e non domandarsi mai a cosa potesse servire quell’esplosivo. L’esplosivo erano i chili in meno.

La deflagrazione avvenne mentre ero in palestra. Mentre il mio cuore spingeva oltre i cento battiti al minuto, il suo si fermò di colpo. La trovai in corridoio, stesa per terra. Morta nei suoi trentatré chili di organi, sangue, ossa, e carne.

Entrambi abbiamo perso le nostre guerre.

Questi, quelli che vengono adesso, sono gli anni delle modelle anoressiche, degli scandali. E la gente che mi è attorno cerca di consolarmi, mi dice cose del tipo, non è colpa tua, è questa società basata sull’estetica che spinge quelle come Martina a una fine così. E io li ascolto, ancora sospeso nella mia massa muscolare scolpita. Mi ripetono che è una vittima della moda dei nostri tempi ma so che non è vero, tutto quello che stavamo cercando era l’esatto opposto. Volevamo nasconderci, non apparire. Io sotto quintali di muscoli, lei sparendo poco a poco, diventando sempre più magra, più sottile, quasi trasparente. Mimetica.

E come la storia insegna, le guerre sono eventi ciclici, ne finisce una solo per dar spazio alla seguente. Persa la guerra dell’insicurezza, ecco che si vede all’orizzonte sopraggiungere l’esercito del senso di colpa.

Mangio, mangio come un bue, mangio tutto quello che Martina non ha ingerito per settimane, per mesi. Smetto con la palestra, e dopo poco vengo licenziato da lavoro per continue assenze ingiustificate. Non ho tempo per gli allenamenti, per il magazzino. Il lavoro di autodistruzione è un impegno a tempo pieno.

Mangio con le lacrime agli occhi. Mangio con la rabbia nel petto. Mangio con il nervoso nello stomaco. Mangio con la colpa che trasuda da ogni poro. Mi ingozzo fino a trasformare ogni muscolo in un sacchetto di grasso deforme, mangio fino a non riconoscermi allo specchio. Ingrasso fino a scomparire.

Luca Sereno

Nasce a Torino nel giugno dell’85. Da piccolo sognava di indossare le vestigia di Gemini dei Cavaliere dello Zodiaco, adesso spera che qualcuno gliele regali. Oltra a lavorare il suo tempo lo fraziona tra letture, sport, videogiochi, e film. Per far si che una storia lo appassioni qualcuno deve morire. Una volta all’anno in onore “delle belle cose” guarda Fight Club e Kill Bill. Arrivato a trentatrè anni li conosce a menadito. Gli piacciono i cani, i cappelli, i whisky (quelli buoni), fumare, e i piatti “crasti” invernali (tipo pasta e fagioli). Per la facilità con cui si infiamma nelle discussioni i suoi amici dicono che ha “la lancetta del contagiri sempre sul rosso”.

CRACK è una rivista letteraria indipendente nata a Torino nel 2018. Pubblica racconti brevi , altre narrazioni e rubriche sul mondo dell’editoria. È gratuita ed è disponibile sia in versione elettronica sia cartacea, scopri di più su www.crackrivista.it

Post a Comment