
La necessità di una scuola trans-inclusiva
Premessa: nell’articolo verrà fatto uso di un linguaggio inclusivo, in particolare verrà utilizzata la lettera U, in quanto la schwa e simboli come l’asterisco possono rappresentare un ostacolo per le persone dislessiche.
Verso la fine di dicembre dello scorso anno la società francese è stata scossa dalla notizia del suicidio di Fouad, una giovane studentessa transgender.
La ragazza si è impiccata nel centro di accoglienza nel quale viveva, a seguito di una discussione con una dirigente scolastica avvenuto qualche giorno prima, in cui era stata ripresa perché si era recata a scuola con una gonna. In un video diffuso sui social network si vede un estratto dello scambio tra Fouad e la responsabile dell’istituto. “Capisco il tuo desiderio di essere te stesso, lo capisco molto bene” dice la dirigente (misgenderando la ragazza), filmata a sua insaputa. “Tutto questo è fatto per accompagnarti al meglio. Perché, ancora una volta, ci sono sensibilità diverse a seconda dell’età e dell’educazione”.

Fouad, in lacrime, risponde: “Ma sono loro che devono essere educati, non io. Non capisco quale sia il problema. Non lo capirò mai“.
In quest’ultima frase è racchiusa la chiave di tutto: non sono le persone trans e tutte coloro che appartengono ad una minoranza discriminata a doversi forzatamente adattare ad una società e a dei modelli cis-eteronormativi, ma sono le persone appartenenti al gruppo sociale privilegiato a dover mettere in discussione il proprio privilegio, educandosi e imparando ad accogliere le diversità senza ricondurle necessariamente all’interno di un determinato schema.
La scuola è parte integrante della vita di una persona ed è un diritto di tuttu lu studentu vivere gli anni dell’istruzione con serenità. Eppure questi ultimi possono essere molto ardui per le persone transgender e non binary.
Ad oggi in Italia sussiste un grande problema di transfobia e disinformazione all’interno degli istituti scolastici. Solo alcune Università hanno adottato la carriera alias come forma di tutela verso lu studentu transgender. Come riportato sul sito Universitrans, “la Carriera Alias è un profilo burocratico alternativo e temporaneo, che sostituisce il nome anagrafico con quello d’elezione, almeno fino all’ufficiale rettifica anagrafica. Comprende un badge e un indirizzo email con il nome d’elezione. È valido esclusivamente all’interno dell’ateneo, realizzato attraverso la stipula di un accordo confidenziale tra ateneo e studente/ssa, e non estendibile a documenti ufficiali, come l’attestato di laurea, l’iscrizioni a tirocini, l’accesso a programmi erasmus ecc…”.
Si tratta di uno strumento volto a riconoscere l’identità dell’individuo nella sua autodeterminazione, evitandogli continui coming out con docenti e personale e, di conseguenza, proteggendolo dalle discriminazioni. Allo stesso tempo, tutela la sua privacy, promuovendo un ambiente il più possibile sicuro e giusto.
Tuttavia, al momento solo 32 Università su 68 hanno attivato la carriera alias per lu studentu, in cinque atenei essa è prevista anche per i docenti e solo in due è valida anche per il personale amministrativo. Inoltre essa è quasi totalmente assente nelle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado, con rarissime eccezioni.
Quella della carriera alias è solo una di una serie di buone pratiche che dovrebbero essere uniformate ed estese a tutte le strutture scolastiche di ogni ordine e grado, sotto il coordinamento del MIUR.
Quali sono le altre prassi che dovrebbero essere adottate al fine di tutelare le persone trans di qualsiasi età in ambito scolastico?
- Utilizzare il nome di elezione e i pronomi adeguati.
- Dare allu studentu la possibilità di vestirsi con gli abiti che preferiscono e che li fanno stare bene, non limitando quindi la loro espressione di genere.
- Dare la possibilità di scegliere quale bagno e spogliatoio usare. La soluzione migliore sarebbe avere i bagni unisex.
Per quanto riguarda questo punto, l’obiezione più comune è quella che vede le donne più vulnerabili alle molestie e alle aggressioni da parte di uomini nei bagni unisex rispetto a quelli divisi per genere. Quest’argomentazione si basa però su di un mito, in quanto non ci sono prove che i servizi igienici separati per genere siano “più sicuri” per le donne cisgender rispetto ai bagni unisex. Sono invece proprio le persone transgender le vittime principali di attacchi e discriminazioni all’interno dei bagni pubblici. Da un sondaggio condotto dal National Center for Transgender Equality e dalla National Gay and Lesbian Task Force, è emerso infatti che su un campione di 6450 persone trans* il 56% ha subito molestie e discriminazioni in questi luoghi.

- Adottare strategie e programmi contro il bullismo, coniugandoli a programmi di educazione alle differenze, all’affettività e alla sessualità. Lu insegnantu dovrebbero essere educatu a intervenire quando si verificano casi di bullismo, discriminazione e microaggressioni come misgendering (termine che indica il riferirsi ad una persona trans usando pronomi, nomi, parole o appellativi che non riflettono il genere di quest’ultima) e deadnaming (il riferirsi ad una persona utilizzando il nome assegnato alla nascita).
- È inoltre fondamentale organizzare corsi di formazione e sensibilizzazione obbligatori rivolti al personale docente e amministrativo riguardanti tutto ciò che concerne l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Tali corsi dovrebbero essere organizzati in collaborazione con associazioni LGBTQIA+ che si occupano specificatamente di queste tematiche.
Al momento, le buone prassi per la tutela dellu studentu transgender e in particolare dei minori trans e gender-variant vengono applicate solo se le famiglie hanno la fortuna di incontrare insegnanti o dirigenti scolastiche “sensibili” a tali temi. Si tratta, di fatto, di mere concessioni da parte dei singoli istituti.
L’uguaglianza e il rispetto però non dovrebbero essere condizioni che dipendono dalla volontà e dalla sensibilità dei singoli, poiché i diritti non sono concessioni e ottenerli non dovrebbe essere solo una questione di fortuna. La loro tutela non dovrebbe essere responsabilità dei singoli, ma della collettività.
Come affermato dal collettivo Genderlens, che da tempo si occupa dei diritti dell’infanzia trans, la scuola deve diventare il luogo dove le diversità, tutte, rappresentino un valore aggiunto, con la possibilità di crescere come persone libere e come società, l’unica possibilità di cambiamento.
Tutto ciò porterebbe alla riduzione dell’emarginazione sociale vissuta dalle giovani persone trans, riducendo anche il tasso di abbandono scolastico e universitario, promuovendo una strategia complessiva per la piena libertà, autodeterminazione e realizzazione di ogni individuo nel pieno rispetto della propria identità e unicità.
Citando Paul Preciado: “Uno dei grandi problemi della scuola inclusiva è che l’altro, il diverso, rimane una nota a piè di pagina in una scuola che non cambia. Si continua a praticare la stessa pedagogia: basta aggiungere una sedia per il “diverso”, il “disabile”, ma non si mette in discussione l’epistemologia politica della scuola”.
È arrivato il momento di mettere finalmente in discussione il sistema e le persone che lo compongono, operando un necessario cambio di paradigma e di prospettiva per una scuola in grado di prevenire la violenza e le discriminazioni di qualsiasi genere, un cambiamento che si affianchi ad una reale trasformazione sociale. Abbiamo bisogno di una nuova pedagogia che non sia solo queer e transfemminista, ma anche anticolonialista, antifascista, antirazzista. Una pedagogia innovativa dalla quale partire per creare nuove consapevolezze e quel cambiamento di cui tuttu abbiamo bisogno.
ned
esistono ragazzi e ragazze cis e ragazzi e ragazze trans, vanno tutti rispettati