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Intersezionale

Lucha y Siesta

Lucha y Siesta: Un emblematico caso di abuso di potere

Scritto da Chiara Franceschini

Il 19 gennaio 2021 un nutrito gruppo di agenti di polizia, approfittando del cancello aperto da uno dei minori ospiti del centro che stava andando a scuola, ha fatto ingresso prima nel giardino di via Lucio Sestio, e poi nello stesso edificio, spingendosi fin dentro le stanze per identificare donne e minori, senza esibire un mandato né dando tempo alle donne di avvisare operatrici e avvocate.
Simili gesti da parte della polizia di Stato sono all’ordine del giorno, ma in questa occasione si è resa ancor più evidente l’assurda brutalità, per due elementi fondamentali: il luogo in cui si è svolta l’identificazione e le persone da essa coinvolte. Le forze dell’ordine hanno scritto una vergognosa pagina di violazione dei diritti umani di cui sono esecutori e di cui vogliamo chiedere conto.


Il luogo e le persone coinvolte non sono luoghi e persone “qualsiasi” ma sono donne e minori che hanno vissuto una violenza e che vivono all’interno di una Casa delle Donne. Infatti in quasi 13 anni di lavoro volontario l’immobile di via Lucio Sestio, da abbandonato che era, è diventato un luogo di autodeterminazione delle donne contro ogni forma di discriminazione di genere. Un presidio di elaborazione culturale, di socialità e condivisione; un progetto politico, nato dalla lotta e dall’ autorganizzazione delle donne, che sperimenta e promuove nuove formule di welfare e di rivendicazione dei diritti; inoltre è un progetto ibrido tra casa rifugio, casa di semiautonoma e centro antiviolenza, che fornisce informazione ascolto orientamento e accoglienza alle donne che ne hanno necessità.


Le donne identificate sono proprio quelle donne che per necessità hanno trovato nella Casa un rifugio sicuro dove stare per prendere ossigeno e ricominciare a vivere dopo aver coraggiosamente deciso di fuggire da situazioni di violenza. Inviate da altre associazioni operanti nella rete antiviolenza e dai servizi sociali, hanno finalmente trovato un luogo a fronte della strutturale carenza di luoghi di accoglienza e ospitalità nella città di Roma, nella Regione, nel Paese tutto.

Eppure, ben consapevoli delle gravi mancanze nella rete di welfare, nonostante le campagne di prevenzione e contrasto alla violenza di genere messe in scena durante le ricorrenze del 25 novembre e 8 marzo nonostante i tanto sbandierati corsi di formazione sulla violenza di genere rivolti alle forze dell’ordine, le donne ospiti di Lucha sono state rese “vittime” una seconda volta, proprio da chi è stato investito del compito di “proteggerle e tenere al sicuro”.


Il maltrattante ha solo cambiato volto prendendo le fattezze della polizia di Stato.


Quella forza volta a mantenere l’ordine “machista” di uno Stato oppressore, incarnazione ed espressione del dominio patriarcale che stringe in una spirale senza fine le donne. Quella stessa spirale che nelle procure, nei Tribunali, nei commissariati e nei comandi, sottopone a giudizio, perizia, che esamina in ogni dettaglio per appurare se la donna sia la “buona moglie” e “l’ottima madre”, che sminuisce nel racconto minimizzando quanto vissuto o non ne riconosce il coraggio, ogni donna fuggita dalle mura domestiche per dire basta alla violenza.

Troppo spesso le donne che denunciano si sentono trattate come “colpevoli”, interrogate e sottoposte a verifica in ogni aspetto, a dover raccontare più e più volte il proprio vissuto di violenza in processi che possono durare anni, nei palazzi preposti alla giustizia” che diventano “palazzi dell’ingiustizia” lì dove pronunciano sentenze sessiste o permettono che vengano ancora utilizzate teorie senza fondamento scientifico come la PAS (sindrome di alienazione parentale).

Tutto ciò non tenendo conto dell’art. 31 della Convenzione di Istanbul dove si stabilisce che il Giudice, nei casi di separazione, in materia di affidamento debba tener conto della violenza vissuta in famiglia, garantendo la sicurezza di chi ha subito tale violenza. E proprio la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica è la grande assente. Ratificata dall’Italia nel 2013, si pone l’obiettivo di combattere la violenza di genere un tutte le sue forme, obiettivo disatteso dalle istituzioni che lo relegano in fondo all’agenda politica nazionale, con risposte che non vanno alle profonde radici del fenomeno.

E l’azione della polizia per identificare le ospiti inviate da altre strutture dell’accoglienza, dai servizi sociali, previo screening sanitario a cura del servizio sanitario nazionale, ci restituisce chiaramente l’immagine che questo non è un paese per donne.

Trincerandosi dietro la parola “legalità” Atac e Comune di Roma fanno pagare il prezzo di una malagestione alle donne che continuano a morire. E’ ora di predisporre programmi di prevenzione nelle scuole, nuovi luoghi per l’accoglienza dei percorsi di autonomia delle donne; fondi strutturali per i centri antiviolenza.

Oltre la festa il rito e il silenzio abbiamo scelto la lotta.

La Casa delle Donne Lucha y Siesta a Roma è un luogo materiale e simbolico di autodeterminazione delle donne contro ogni discriminazione di genere. Un esperimento innovativo e riuscito: un progetto politico che promuove nuove formule di welfare e di rivendicazione dei diritti a partire dal protagonismo femminile; un progetto ibrido tra casa rifugio, casa di semiautonomia e centro antiviolenza; un progetto nato dalla lotta e dall’autorganizzazione delle donne che da più di 11 anni fornisce informazione, orientamento, ascolto e accoglienza.

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