
La liberazione animale è una questione femminista
Articolo originale di Laura Fernández dal titolo Animal Liberation is a Feminist Issue.
Laura Fernández è dottoranda in Comunicazione presso l’Università Pompeu Fabra. Ha vinto una borsa di studio come PIF (Ricercatore Professionale in Formazione) con il gruppo di ricerca CRITICC nella stessa Università. Si è laureata in antropologia sociale e culturale presso l’Università Autonoma di Madrid, con un Master in media, potere e differenza. I suoi principali interessi accademici sono i Critical Animal Studies, l’attivismo animalista, la comunicazione visiva strategica e l’intersezione delle lotte e delle oppressioni.
La prassi patriarcale e androcentrica che informa la nostra società e il nostro comportamento, condiziona e modella il modo in cui pensiamo agli altri animali e ci relazioniamo con loro.
La nostra lingua riflette questa modalità viziata di apprendimento, basti pensare quanto sia considerato normale umiliare alcuni soggetti per la loro espressione di genere o la loro specie (e altre caratteristiche come età, corporatura, origine, cultura o abilità… ma qui ci concentreremo sulle prime due).
Chiamiamo “cagne” le donne che sperimentano la loro sessualità liberamente e senza tabù, o quelle che sfidano la monogamia, “vipere” quelle che si comportano male, “vacche” le donne grasse o quelle che ingrassano – per controllare il loro corpo e mantenere l’imperativo della magrezza. Quando vogliamo dire che qualcunə è codardə, lə chiamiamo “coniglio”, se lə consideriamo sporcə, lə chiamiamo “maiale”. Per una persona spregevole, usiamo “topo di fogna”.

La nostra lingua riflette la nostra visione del mondo. Il linguaggio sessista, omofobo e specista dimostra quanto poco sappiamo degli altri animali (sorpresa, anche tu sei un animale!) e come ci relazioniamo con loro, in generale, da una posizione di privilegio e dominio.
Tutti questi aggettivi che noi umani usiamo per umiliarci l’un l’altrə (e in particolare donne e dissidenti di genere) nascondono un referente assente (1): gli animali non umani in carne e ossa, che sono vivi, e provano dolore e piacere. Ad esempio, i suini fanno bagni di fango per due motivi: per regolare la propria temperatura corporea e per proteggersi dal sole, perché hanno la pelle sensibile e il fango funge da barriera protettiva. I conigli non sono codardi (2) e i topi sono animali sociali ed empatici che si aiutano a vicenda, ad esempio, per sfuggire ad una gabbia… E l’elenco potrebbe continuare all’infinito. La nostra prospettiva ideologica e morale nei confronti di cagne, mucche, vipere, conigli o topi non ci dice nulla degli individui che appartengono effettivamente a quelle specie.
Il sessismo e l’eteronormatività sono strettamente collegati allo specismo. Non solo perché entrambi sono sistemi di oppressione, ma perché hanno radici e logiche comuni. Sono filtri che ci fanno vedere “l’alterità” da una prospettiva inferiorizzante. Entrambe le oppressioni determinano il posto che occupiamo nella società e ci guidano rispetto a questioni fondamentali: come dobbiamo comportarci, quando dobbiamo tacere, come dobbiamo parlare, quali voci sono degne di attenzione, chi è al di sopra e chi al di sotto, chi ha sempre ragione e chi ha torto… insomma, chi conta e chi no.
Le logiche che subordinano donne e dissidenti di genere sono simili a quelle che subordinano gli altri animali
L’epistemologia femminista ha storicamente sottolineato che le teorie della conoscenza sono imbevute di pregiudizi maschili (androcentrici), che privilegiano una comprensione del mondo centrata nelle esperienze dell’uomo cisgender ed eterosessuale (3). Così facendo, le femministe hanno svelato il binarismo sul quale si basa il mondo. Il dualismo definisce chi ha il privilegio ed opprime un altro soggetto oppresso; tra i vari binarismi troviamo, ad esempio, il primato della ragione sull’emozione, dell’uomo sulla donna, della cultura sulla natura, dell’umano sull’animale. Gli uomini sono considerati l’incarnazione dell’umanità, della ragione e della cultura, mentre donne e dissidenti di genere sono “troppo emotivə”, “senza freni”, “isteriche”. Uno degli argomenti principali a supporto dell’oppressione e della subordinazione degli altri animali è che questi ultimi non sarebbero dotati del nostro stesso intelletto, linguaggio e cognizione. Quando si vuole umiliare una persona o una comunità specifica, un modo comune di farlo è assegnare loro caratteristiche animali: l’animalizzazione offusca la loro umanità (essere consideratə “meno umani e più animali” nelle nostre società significa essere meno importanti e validə).
Tutti questi dualismi sono, in realtà, definizioni limitate della realtà, costruzioni socioculturali che alimentano le strutture oppressive esistenti, poiché anche gli umani sono animali, esistono almeno 5 sessi (4), e il genere è un’espressione fluida e multipla, difficilmente categorizzabile nel dualismo riduttivo “uomini” e “donne”. Questo ultimo aspetto viene sottolineato ogni giorno dalle persone intersessuali, trans e non binarie. Se vogliamo distruggere il dominio patriarcale e specista, dobbiamo impegnarci per decostruire le logiche binarie che danno forma al mondo in cui viviamo.
Il dominio patriarcale è specista
La mascolinità egemonica si basa sul dominio dei corpi femminilizzati e non umani. I “veri uomini”, secondo le linee guida della nostra cultura sessista, sono forti, autoritari, controllanti. “Proteggono ciò che è loro” (come le partner sessuali e affettive). Razionali, seri, cisgender, eterosessuali, hanno sempre ragione. Interrompono anche le donne più esperte per dare loro consigli non richiesti, perché ovviamente ne sanno di più (5). Hanno bisogno di mangiare la carne per essere forti e muscolosi, perché le verdure sono per “froci rammolliti” (6). Spesso dimostrano il loro potere dedicandosi in maniera appassionata ad attività tremendamente mascolinizzate e violente sugli animali non umani, come la pesca, la caccia o la corrida. Diversi studi hanno mostrato che sia i cacciatori che gli allevatori sessualizzano gli animali che sfruttano e uccidono (7).
Il femminismo e l’antispecismo rivendicano il diritto di decidere del proprio corpo
Una premessa fondamentale delle lotte femministe è il diritto di autodeterminare le proprie scelte, in particolare quelle che riguardano i corpi. Le storiche lotte sui diritti sessuali e riproduttivi ne sono un esempio, così come la lotta per la depatologizzazione trans, contro le molestie sessuali di strada, gli abusi sull’infanzia o la violenza ostetrica, le campagne contro la criminalizzazione delle prostitute o contro la lesbofobia.
Le industrie dello sfruttamento animale si basano sullo sfruttamento del corpo degli altri animali per produrre profitto economico: la carne è il cadavere di qualcuno che voleva vivere, che viene invece trasformato in prodotto. Il latte, da fluido corporeo di alcuni mammiferi diventa plusvalenza. Gli animali non umani sono lavoratori sfruttati (8) a cui viene negato il diritto al proprio corpo. Queste industrie costringono gli animali non umani a riprodursi negli allevamenti, negli stabilimenti di acquacoltura, negli zoo o negli acquari in modo che gli sfruttatori abbiano più animali da sfruttare. Gli animali non umani in cattività generalmente evitano di riprodursi, ma vengono attuati programmi di riproduzione forzata (9) per poi spezzare i legami familiari e allontanare le madri dai loro cuccioli. Ad esempio, nel settore lattiero-caseario mucche, capre e pecore vengono separate dai cuccioli nel giro di pochi giorni (spesso, ore) dalla nascita, in modo che il latte possa essere conservato per il consumo umano. Le femmine verranno allevate per essere sfruttate come le loro madri dall’industria lattiero-casearia, mentre i maschi verranno mandati al macello entro poche settimane.

La clonazione e la creazione di animali transgenici stanno portando la domesticazione e il controllo del corpo degli animali non umani all’estremo: topi a cui crescono orecchie umane nel corpo, macchine vive di xenotrapianti (10), salmoni geneticamente modificati che crescono due volte più velocemente dei salmoni tradizionali a beneficio di industrie dell’acquacoltura (11) o galline transgeniche le cui uova contengono principi attivi per contrastare malattie associate al colesterolo (12).
Sono solo alcuni esempi del controllo sproporzionato dei corpi degli animali non umani, giustificato da argomenti specisti che sostengono la supremazia umana e l’idea che gli animali non umani siano solo mezzi per soddisfare le nostre necessità e piaceri.
Questa dinamica dovrebbe suonare familiare… perché è esattamente quello che molti uomini pensano di donne e dissidenti di genere: che i nostri corpi e desideri esistono per soddisfare i loro sguardi, bisogni e desideri.
La lotta femminista sarà antispecista (e la lotta antispecista sarà femminista) o non sarà!
Se l’antispecismo è una questione femminista… che dire del femminismo nell’ambito del movimento di liberazione animale?
Le campagne globali #MeToo e #TimesUp hanno denunciato le molestie sessiste e dato visibilità alle violenze subite dalle donne in tutto il mondo e spesso taciute. Questi movimenti hanno reso evidente ciò che molte di noi sapevano da tempo, ovvero che il movimento di liberazione animale non è esente da molestie, aggressioni sessuali e violenza sessista in generale. Gli hashtag #MeTooAR e #TimesUpAR hanno smascherato molti uomini, acclamati dal movimento internazionale per i diritti degli animali, che hanno avuto comportamenti sessisti. La filosofa e attivista Lisa Kemmerer si sta dedicando ad una ricerca sulla violenza sessista nel movimento antispecista (soprattutto negli Stati Uniti) con l’obiettivo di documentare questo grave problema (13).
Sebbene l’antispecismo sia un movimento di giustizia sociale il cui scopo è liberare gli animali dall’immensa oppressione che subiscono, i movimenti antispecisti non sono esenti dalle dinamiche di potere etero-patriarcali della società tradizionale. Queste dinamiche si riproducono anche all’interno dei nostri movimenti provocando molta sofferenza, e hanno l’effetto di allontanare attiviste e dissidenti di genere, e di impedirci di essere coerenti ed efficaci nella difesa degli animali non umani.

Il primo passo per riconoscere e rendere visibili queste relazioni strutturali di potere e per costruire un movimento femminista di liberazione animale è di nominare il sessismo, la misoginia, l’omo/bifobia e transfobia e denunciarne l’esistenza nei nostri movimenti. Dato che il dominio sugli animali non umani e il dominio sulle donne e su chi diserta il genere vanno di pari passo, se non ci si impegna per la liberazione di entrambi i gruppi oppressi, difficilmente la liberazione potrà dirsi totale.
Riferimenti
(1) Vedi la teoria del referente assente in Adams, Carol J., Carne da Macello. La politica sessuale della carne (2018, Vanda edizioni)
(2) Davis, Karen. (2019). “Chickens are courageous birds. They are NOT Cowards, or a Trope for Human Cowardice”, United Poultry Concerns blog:
https://www.upc-online.org/alerts/191110_chickens_are_courageous_birds.html
(3) Harding, Sandra. (2008). Sciences from below. Feminisms, postcolonialities, and modernities.
Durham / Londra: Duke University Press.
(4) Fausto-Sterling, Anne. (1993, March/ April). The Five Sexes: Why Male and Female Are Not Enough. The Sciences 33, 20-25.
(5) Solnit, Rebecca, Gli uomini mi spiegano le cose. Riflessioni sulla sopraffazione maschile (2017, Ponte alle Grazie)
Si veda anche Jaime Rubio Hancock (23 settembre 2016), “Deja que te explique qué es el ‘mansplaining’”: https://verne.elpais.com/verne/2016/09/16/articulo/1474013009_973829.html
(6) Un esempio della nozione di mascolinità egemonica in relazione al consumo di animali è il documentario The Game Changers (Louie Psihoyos, 2019).
(7) Cudworth, Erika. (2008). ‘Most farmers prefer Blondes’: The Dynamics of Anthroparchy in Animals’ Becoming Meat. Journal for Critical Animal Studies 6(1), 32-45.
Kalof, Linda, Fitzgerald, Amy & Baralt, Lori. (2004). Animals, Women, and Weapons: Blurred Sexual Boundaries in the Discourse of Sport Hunting. Society & Animals 2(3), 237-251.
(8) Hribal, Jason. (2013). “Animals are part of the working class”: a challenge to labor history. Labor History 44(4), 435-453. DOI: 10.1080/0023656032000170069
(9) Si veda, ad esempio il programma della World Association of Zoos and Aquaria (WAZA) https://www.waza.org/priorities/conservation/conservation-breeding-programmes/
(10) Briggs, Helen (1 agosto 2013). “Avanza la creación de la oreja humana artificial”
BBC News: https://www.bbc.com/mundo/noticias/2013/08/130731_salud_oreja_artificial_en
11) Weisberg, Zipporah. (2015). Biotechnology as End Game: Ontological and Ethical Collapse in the “Biotech Century”. Nanoethics 9, 39-54. DOI: 10.1007/s11569-014-0219-5
(12) Reardon, Sara. (2016). The CRISPR Zoo. Nature 531, 160- 163. DOI: 10.1038/531160a
(13) Kemmerer, Lisa. (2019, March 8th). Kemmerer 2017 Survey: Sexism and male privilege in the animal activist community.
Animal Liberation Currents: https://animalliberationcurrents.com/kemmerer2017-survey/
Ines
Interessantissimo e utile