
Perché non potete criticare l’asterisco?
Immagine in copertina di https://www.instagram.com/yippiehey/
Lo psicologo Bill Richards, per descrivere la difficoltà di restituire a parole l’esperienza con sostanze psichedeliche, dice:
«Provi a immaginare un uomo delle caverne [sic] trasportato nel bel mezzo di Manhattan. Vede gli autobus, i telefoni cellulari, i grattacieli, gli aeroplani. E poi lo rispediamo nella sua caverna. Che racconterà della sua esperienza? “Era grande, meraviglioso, faceva tanto rumore”. Non ha il vocabolario per “grattacielo”, “ascensore”, “telefono cellulare”. Forse ha una percezione intuitiva del fatto che nella scena c’è una sorta di ordine o di significato. Ma ci sono parole, di cui avremmo bisogno, che ancora non esistono. Abbiamo cinque matite colorate, quando ci servirebbero cinquantamila sfumature diverse». (cit. in M. Pollan, “Come cambiare la tua mente”, Adelphi, p. 76)
Lo stesso vale per parlare di genere, differenze di genere, problematiche di genere. Non abbiamo le parole e per questo ce le dobbiamo inventare; che si parli delle etichette o dell’autodeterminazione delle persone LGBTQI (magari la prossima volta) o di linguaggio cosiddetto inclusivo.
A volte basterebbe conoscere a fondo, ma forse nemmeno troppo a fondo, le possibilità grammaticali dell’italiano per uscire dal problema. Altre volte si trovano delle soluzioni creative come lo schwa, un simbolo che proviene dall’alfabeto fonetico. Altre volte, ancora, ci permettiamo di usare forme un po’ pazzerelle come la u o gli asterischi (non che lo schwa non sia egualmente pazzerella).
Credo che molto dipenda dalle possibilità immediate che gli hardware hanno messo a disposizione; le tastiere QWERTY hanno una gamma limitata di simboli: lettere, numeri, segni di interpunzione, simboli o caratteri speciali. Parlo di tastiere QWERTY perché questa riflessione sul linguaggio nasce dal linguaggio scritto digitalmente, senza i programmi di videoscrittura probabilmente avremmo usato altri simboli. Perciò: se la combinazione delle lettere dell’alfabeto formano delle parole e la combinazione delle parole formano delle frasi, la combinazione di tutti i simboli della tastiera QWERTY formano nuove possibili forme linguistiche (oppure delle password che non ricorderemo mai).

Per cui all’interno di questo sistema si è scelto di usare qualcuno di questi simboli non tanto per significare qualcosa, ma per marcare la presenza di un problema. L’asterisco o la u non servono solo a evitare il maschile universale ma a indicare la presenza di un problema. Quando si mettere l’asterisco alla fine di una parola non è solo per indicare una cosa specifica, cioè che è la funzione delle parole, ma anche per indicare la possibilità che una collettività può avere. Esempio: quando si scrive “tutt*” si esprime il fatto che ci sia una possibilità latente di poterci stare praticamente per chiunque.
Il fatto è che l’italiano ha abituato tutt* a una quasi perfetta aderenza tra quello che leggiamo e quello che ascoltiamo. A parte i casi di omografia, ovvero parole che si scrivono allo stesso modo ma si leggono in maniera diversa, per esempio: pésca e pèsca, prìncipi e princìpi, uomo delle caverne e visione androcentrica della Storia.
Insomma, siamo abituat* male.
Lo sappiamo benissimo che gli asterischi sono impronunciabili. Ciò che vogliamo fare non è trovare una soluzione ma evidenziare un problema per poi, ovviamente, arrivare alla rivoluzione.
Lo schwa è una proposta, non una imposizione. Evidentemente chi (leggi: l’eterocispatriarcato) ragiona per dominazioni e imposizioni, non può che vederle ovunque. Sì, è un simbolo piuttosto ignoto sia per la fonetica sia per il simbolo in sé; e se non è per niente intuitivo scoprirne il suono – che è una sorta di unione dei suoni di tutte le vocali – può esserlo rispetto al suo significato.
Il cervello umano non può processare tutti i dati come se fosse la prima volta, per cui per elaborare le percezioni e la realtà si deve basare su nozioni già apprese: usiamo tutto ciò che abbiamo imparato nella nostra vita per orientarci al meglio. Lo fa il corpo, per cui abbiamo interi movimenti automatici come guidare, andare in bici che ci permettono di fare altre cose nel mentre. Lo stesso vale per la lettura, non abbiamo bisogno di leggere ogni parola lettera per lettera per capirne il significato. Non sevre nuppere ceh le etterel isano enel odrien guitso per capirne il senso. In parte riusciamo a capire il significato di una parola anche dal contesto.
Per cui la non comprensibilità delle soluzioni alternative al maschile universale è un falso problema. Si capisce benissimo cosa sia, sia per la posizione finale nell’ordine delle lettere della singola parola, sia perché compare sia negli articoli che nei sostantivi che negli aggettivi di una determinata particella.
Ma il punto è chiaro ormai: la creatività linguistica è accettata o non accettata a seconda del gruppo o sfera sociale dal quale proviene. Se l’asterisco e lo schwa fossero stati proposti da un ambiente considerato non conflittuale come il giornalismo o la finanza, nessuno (e uso apposta il maschile) avrebbe avuto da ridire. Dato che invece è stato proposto da un gruppo sociale considerato pericoloso, petulante e aggressivo come quello delle femministe o delle soggettività non conformi – o comunque delle donne – è attaccabile come un capriccio, un vezzo, una cosa inutile.
Le parole sono anche sono un simbolo di distinzione sociale. Usare un linguaggio specifico di una certa area semantica considerata, appunto, migliore ammanta di fascino chi la usa.
È per questo, ipotizzo, che termini inglesi come briffare o forwardare vengono usati per fare scena e per situarsi in una posizione di superiorità rispetto a un sapere – e quindi rispetto a un presunto potere.
Peccato che vi sgamiamo subito.
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