Popolo Sahrawi: L’infinita marcia verso l’indipendenza
Il 10 dicembre, durante il 69esimo anniversario della giornata mondiale dei diritti umani, gli Stati Uniti riconoscono la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale colpendo duramente le aspirazioni di autodeterminazione del popolo sahrawi.
La scelta degli Stati Uniti e le ambizioni espansionistiche del Marocco hanno radici profonde che si intrecciano con altri popoli colonizzati.
Radici che percorrono un muro lungo più di 2000 chilometri, una guerra di 15 anni, un conflitto senza fine, un referendum di indipendenza mai fatto e un popolo che vive da più di 40 anni nei campi profughi.
Il Sahara Occidentale si trova nel nord-ovest del continente africano e insieme a Marocco, Mauritania, Algeria, Tunisia e Libia fa parte di quell’insieme di Paesi denominato Maghreb.
Come molti stati africani, i confini del Sahara Occidentale sono stati disegnati a tavolino durante molteplici congressi susseguitisi nel corso degli anni e la sua storia coloniale ha origine proprio in occasione della Conferenza di Berlino (1884-1885) nella quale, oltre a sancire i confini territoriali, la zona meridionale (Río de Oro) divenne un protettorato di Madrid, che nel 1912 vide riconosciuta la propria influenza anche sulla zona settentrionale (Saguia el-Hamra).
Nel 1960, con la risoluzione 1514 (XV), l’Assemblea generale delle Nazioni Unite chiede alle potenze coloniali di decolonizzare i territori ancora sotto la loro amministrazione e proclama il diritto all’autodeterminazione dei popoli.
Nello stesso anno sorse un movimento di liberazione e nel 1973 venne fondato il Frente Polisario (Frente Popular para la Liberación de Saguia el-Hamra y Río de Oro) un vero e proprio movimento di resistenza anti-colonialista di ispirazione socialista.
Ed è proprio durante gli anni settanta che emerse la questione delle ricchezze del Sahara Occidentale, infatti, pur essendo un territorio prettamente desertico è ricco di fosfati, ha le coste molto pescose e ci sono miniere di minerali sparse su tutto il territorio.
Contestualmente Hassan II (re del Marocco dal dal 1961 fino alla sua morte avvenuta del 1999) invitò i suoi sudditi a riprendersi le “storiche provincie del sud”, utilizzando una propaganda neo-nazionalista che ebbe l’effetto sperato: la “Marcia Verde” che il 6 novembre 1975 condusse 350mila marocchini a camminare da Tarfaya fino a superare i confini territoriali.
Un’azione che altro non era che un abuso di potere, un’invasione arrogante del Sahara Occidentale in nome di diritti storici e di una sovranità nazionale da difendere ad ogni costo.
Malgrado l’ONU e la Corte internazionale di giustizia avessero riconosciuto il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi, il 14 novembre 1975 la Spagna concluse un accordo con il Marocco e la Mauritania per la spartizione del Sahara Occidentale fra i due Stati.
Il Frente Polisario reagì militarmente all’occupazione e si preoccupò di fornire sostegno alle popolazioni locali che fuggono in massa verso la frontiera algerina; venne così allestito un primo campo profughi presso l’oasi di Tindouf, nel deserto, al confine con l’Algeria.
La Mauritania, nel 1979, firmò con le forze sahrawi un trattato di pace e si ritirò dal Río de Oro prontamente occupato dal Marocco che l’anno successivo eresse un muro difensivo limitando così la capacità d’azione delle forze sahrawi.
Per far sì che gli scontri cessassero, fu necessario l’intervento nel 1991 delle Nazioni Unite, con l’operazione MINURSO, incaricata di vigilare sul rispetto della fine delle ostilità e di tracciare un percorso che avrebbe dovuto portare alla realizzazione di un referendum popolare sull’indipendenza del Sahara Occidentale, un referendum mai indetto e continuamente rinviato.
Da allora le ostilità non sono cessate e il 13 novembre 2020 il Marocco ha infranto gli accordi di cessate il fuoco con il Fronte Polisario. Da quel momento non c’è stato giorno in cui non si sia combattuto nel Sahara Occidentale.
“Prima di ogni oasi c’è un deserto da affrontare”
proverbio sahrawi
La situazione sul terreno si è inasprita con la decisione degli Stati Uniti di riconoscere la sovranità del Marocco.
L’annuncio, che per il governo della Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi è un «ulteriore ostacolo» sulla strada della pace, è arrivato tramite alcuni tweet dell’ex presidente Donald Trump:
«Oggi ho firmato una proclamazione che riconosce la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale, riconosce la proposta del Marocco sull’autonomia di quei territori come l’unica base per una soluzione giusta e duratura per una pace»
E così il regime marocchino, dopo anni di intenso lavoro diplomatico, in un colpo solo ha realizzato due delle sue più grandi ambizioni: risolvere la questione del Sahara Occidentale e fare un altro passo verso la sua affermazione come potenza regionale.
Il riconoscimento non avviene soltanto a scapito della lotta del popolo sahrawi per l’indipendenza ma sembra far parte di un baratto immorale che colpisce anche i diritti dimenticati dei palestinesi, infatti subito dopo Trump scrive:
«Un’altra svolta storica oggi. I nostri due grandi amici Israele e il regno del Marocco hanno concordato di ristabilire complete relazioni diplomatiche, una svolta enorme per la pace in Medio Oriente!»
Diventando così il quarto paese arabo – dopo Bahrein, Sudan ed Emirati Arabi Uniti – a riconoscere la sovranità di Israele, spesso protagonista di violazioni dei diritti umani, uccisioni illegali, limitazioni della libertà di movimento, del diritto alla salute, di arresti e detenzioni arbitrarie anche di minori, discriminazioni, torture, altri maltrattamenti e morti in custodia.
Il Marocco, quando si parla di violazioni dei diritti umani, non è da meno infatti il regime adotta un duro approccio repressivo che non si limita solo ai militanti dei movimenti di protesta sociale ma colpisce con arresti, denunce e perquisizioni anche cittadini che esprimono sui social network opinioni critiche nei confronti del monarca.
La prigione di Temara ne è un esempio, si trova a due chilometri dal palazzo presidenziale e i prigionieri – nella maggior parte dei casi sono islamisti locali, sospettati di terrorismo, indipendentisti sahrawi e militanti della sinistra “radicale” – vi arrivano il più delle volte a seguito di un rapimento, senza che gli venga contestata un’accusa e vengono sottoposti a regime di isolamento.
Le premesse di questa struttura non sono buone e infatti, il trattamento è in linea: la tortura.
«Sessioni che durano ore, in un prolungarsi senza sosta di giorni di dolore e di angoscia, colpiscono il tuo corpo, ma anche la tua mente. è la paura di non sapere cosa ti sta succedendo, perché questa volta è toccato a te»
Sono parole di Mohamed Dihani, attivista per la libertà e l’autodeterminazione del Sahara Occidentale oggi uno dei rappresentanti del popolo sahrawi.
«In sette mesi di detenzione illegittima non ho mai ricevuto supporto legale ed ho visto, con i miei occhi, le guardie carcerarie torturare e violentare due donne arrestate»
Racconta la sua testimonianza pubblicata su “Wesatimes” http://it.wesatimes.com/archives/2039 un canale di comunicazione online fondato da lui stesso.
Dilhani è stato a Temara fino a quando le guardie non gli hanno estorto la confessione per “crimini di cospirazione e terrorismo”.
Nonostante l’art. 15 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, ratificato dallo stesso Marocco, recita che “qualsiasi dichiarazione, accertata che sia stata commessa a seguito di tortura, non può essere invocata come prova” ma a Temara non vale la Convenzione, non valgono le leggi dello stato marocchino perché si agisce al di fuori del controllo delle istituzioni statali. A Temara vige una sola legge: quella di Mohamed VI.
In tale circostanza è sempre più evidente che tra colonizzatori ci si intende e chi ne ha tratto maggior vantaggio sono proprio gli stati coloniali ma la forza dei popoli in lotta ci dà un grande esempio di resistenza e di coraggio in un futuro senza oppressi.
Il Sahara Occidentale è un territorio che appartiene ai sahrawi e solo loro possono decidere.
“In questa intemperie rimaniamo
noi, quelli di sempre,
quelli che lottano con i loro corpi nudi,
contro i lacerati denti del tempo che ci corrodono.
Quelli che soffocarono i loro cuori feriti
e legarono le proprie mani
al volo bianco delle colombe.
Quelli che muoiono, nascono, sognano
e soprattutto, sperano di strappare
dalle ceneri l’identità
di un cuore in fiamme.”