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Intersezionale

La vicenda Open Arms – I salvataggi in mare e la Costituzione

Il 17 aprile il Giudice dell’Udienza Preliminare ha rinviato a a giudizio il senatore Salvini, per il reato di rifiuto di atti d’ufficio e di plurimo sequestro di persona. Il procedimento penale si sta svolgendo nel capoluogo siciliano a seguito della autorizzazione a procedere votata dal Senato nei confronti del Ministro dell’Interno in carica nell’agosto 2019 con riguardo all’impedimento allo sbarco dei naufraghi soccorsi nel Mar Mediterraneo dalla ONG spagnola Open Arms.

Davanti all’isola di Lampedusa, per diversi giorni, all’equipaggio della ONG fu impedito di far sbarcare le persone (e tra esse diversi minorenni) che si trovavano a bordo della nave in condizioni disperate e progressivamente più difficili, persone che avevano manifestato la volontà di richiedere protezione internazionale al nostro paese.

Tale situazione si venne a creare a seguito del provvedimento con cui il TAR del Lazio aveva sospeso il decreto interministeriale che vietava alla nave Open Arms, con il suo carico di persone, l’ingresso nelle acque territoriali italiane. Il provvedimento era stato adottato in forza di un decreto-legge approvato nel giugno di quell’anno, e poi convertito all’inizio di agosto in una legge – in parte modificata nel dicembre del 2020 – che prevede sanzioni pesantissime per i trasgressori del divieto (rivolto a coloro che effettuano operazioni di salvataggio in mare) di ingresso nelle acque territoriali italiane.

La normativa italiana ed internazionale accorda una particolare tutela ai richiedenti asilo, asilo che ai sensi dell’art. 10 della Costituzione va riconosciuto a colui al quale “sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”.

L’ONG evidenziò nel ricorso al TAR il fatto che, secondo l’art. 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani, tutti hanno il diritto di chiedere asilo e di usufruire di tale diritto, e che – come sottolineato dalla Comunicazione ONU del 15 maggio 2019 – “la valutazione della domanda di asilo non può essere effettuata in mare.

L’obbligo di soccorso in mare discende da una norma consuetudinaria progressivamente codificata da convenzioni e trattati che costituiscono, nel loro insieme, il diritto internazionale del mare; si tratta di un obbligo così fondamentale che viene garantito dal diritto internazionale anche in tempo di guerra, con riferimento all’obbligo di prestare soccorso persino a navi militari nemiche.

Il decreto-legge 53 del 2019, convertito in legge, prevede che il divieto di ingresso possa essere imposto soltanto in caso di violazioni della Convenzione di Montego Bay e nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia. Lamentava Open Arms (ed il TAR ha accolto le sue censure) che il provvedimento interministeriale era stato emesso in difetto delle condizioni per disporre la limitazione o il divieto indicate nella norma ed in contrasto con le convenzioni e normative internazionali.

Il giudice amministrativo ritenne l’applicazione del decreto in contrasto non solo con le convenzioni sul soccorso in mare, che impongono il salvataggio ed il trasferimento dei soccorsi in un place of safety – convenzione S.A.R. del 1979 -, ma anche con la tutela dei più basilari diritti umani garantiti dalle carte internazionali e dalla Costituzione italiana (diritto alla vita, tutela della salute, diritto a non subire tortura, diritto all’asilo politico).

Successivamente al provvedimento del TAR che sospendeva l’efficacia del decreto interministeriale veniva imposto dall’allora Ministro dell’Interno il divieto di sbarco, e la nave Open Arms tra il 14 ed il 20 agosto rimase bloccata davanti all’isola di Lampedusa, prima che intervenisse il sequestro da parte della Procura di Agrigento, e ciò permise di far scendere a terra le 164 persone soccorse.

Il Tribunale per i Minori di Palermo il 9 agosto scriveva che “le Convenzioni Internazionali a cui l’Italia aderisce e soprattutto l’art. 19 co. 1 Bis D Lvo 286/98, come integrato dall’articolo 3 della legge 47/17, impongono il divieto di respingimento alla frontiera o di espulsione dei minori stranieri non accompagnati, riconoscendo loro, invece il diritto ad essere accolti in strutture idonee, nonché di aver nominato un tutore e di ottenere il permesso di soggiorno” ed affermava che “tutti questi diritti vengono elusi a causa della permanenza dei suddetti a bordo della nave Open Arms, nella condizione di disagio fisico e psichico descritta dal medico di bordo che ha riferito della presenza di minori con ustioni, difficoltà di deambulazione, con traumi psichici gravissimi in conseguenza alle terribili violenze subite presso i campi di detenzione libici.”

Il Tribunale Amministrativo del Lazio sospendeva gli effetti del divieto di ingresso nelle acque territoriali adottato il primo agosto considerando “che il ricorso in esame non appare del tutto sfornito di fondamento giuridico in relazione al dedotto vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti e di violazione delle norme di diritto internazionale del mare in materia di soccorso, nella misura in cui la stessa amministrazione intimata riconosce, nelle premesse del provvedimento impugnato, che il natante soccorso da Open Arms in area SAR libica – quanto meno per l’ingente numero di persone a bordo – era in “distress”, cioè in situazione di evidente difficoltà (per cui appare, altresì, contraddittoria la conseguente valutazione effettuata nel medesimo provvedimento, dell’esistenza, nella specie, della peculiare ipotesi di “passaggio non inoffensivo)”. Il TAR del Lazio riteneva “che sicuramente sussiste, alla luce della documentazione prodotta (medical report, relazione psicologica, dichiarazione capo missione), la prospettata situazione di eccezionale gravità ed urgenza, tale da giustificare la concessione – nelle more della trattazione dell’istanza cautelare nei modi ordinari – della richiesta tutela cautelare monocratica, al fine di consentire l’ingresso della nave Open Arms in acque territoriali italiane (e quindi di prestare l’immediata assistenza alle persone soccorse maggiormente bisognevoli, come del resto sembra sia già avvenuto per i casi più critici”.

Dopo la decisione del giudice amministrativo, il Ministro dell’Interno allora ancora in carica (eravamo nei giorni convulsi della fine del governo Conte 1 e della nascita della maggioranza che avrebbe varato il secondo governo Conte) tentava di reiterare un nuovo divieto di ingresso nelle acque territoriali senza trovare il consenso dei ministri dei Trasporti e della Difesa. Ma il 15 agosto, la Ministra della Difesa dell’epoca Trenta affermava: “Non firmo il nuovo divieto di Salvini in nome dell’umanità ….. Non si può infatti ritenere che siano rinvenibili nuove cogenti motivazioni di carattere generale ovvero di ordine e sicurezza pubblica tali da superare gli elementi di diritto e di fatto nonché le ragioni di necessità e urgenza posti alla base della misura cautelare disposta dall’autorità giudiziaria che anzi si sono verosimilmente aggravati. La mancata adesione alla decisione del giudice amministrativo potrebbe finanche configurare la violazione di norme penali ….. Ho preso questa decisione motivata da solide ragioni legali ascoltando la mia coscienza. Non dobbiamo mai dimenticare che dietro le polemiche di questi giorni ci sono bambini e ragazzi che hanno sofferto violenze e abusi di ogni tipo. La politica non può mai perdere l’umanità

Il 16 agosto il Presidente del Consiglio sollecitava lo sbarco immediato dei minori presenti a bordo della Open Arms.

Dopo giornate di altissima tensione a bordo giungeva l’intervento del Procuratore della Repubblica di Agrigento che poneva fine al prolungato ed ingiustificato trattenimento a bordo della nave, ormeggiata a ridosso dell’isola di Lampedusa, dei naufraghi soccorsi.

Secondo i giudici del Tribunale dei Ministri di Palermo, la condotta riferibile personalmente al ministro Salvini consistente nella mancata indicazione di un porto di sbarco sicuro (POS) alla Open Arms, nel periodo tra il 14 ed il 20 agosto 2019 sé da considerarsi “illegittima per la violazione delle convenzioni internazionali e dei principi che regolano il soccorso in mare, e, più in generale, la tutela della vita umana, universalmente riconosciuti”.

Come rilevano i giudici del Tribunale dei ministri di Palermo, “va anzitutto evidenziato l’indiscutibile ruolo di primo piano svolto e, per certi versi, rivendicato dal Ministro Salvini sin da quando, apprendendo dell’intervento di soccorso posto in essere in zona Sar libica dalla Open Arms, coerentemente con la politica inaugurata all’inizio del 2019, adottava nei confronti di Open Arms, d’intesa con i Ministri della Difesa e delle Infrastrutture e dei Trasporti, il decreto interdittivo dell’ingresso o del transito in acque territoriali italiane, qualificando l’evento come episodio di immigrazione clandestina, a dispetto del riferimento alla situazione di distress del natante su cui i soggetti recuperati stavano viaggiando”.

Salvini, nel non concedere un porto sicuro alla nave Open Arms nell’agosto 2019, avrebbe violato le Convenzioni internazionali, e”la condotta omissiva ascritta agli indagati, consistita nella mancata indicazione di un Pos alla motonave Open Arms, è illegittima per la violazione delle convenzioni internazionali e dei principi che regolano il soccorso in mare, e, più in generale, la tutela della vita umana”. L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati che non si esaurisce nel primo intervento di salvataggio e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. Le Convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica (…), assumendo un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna (l’art. 117 Cost. prevede infatti che la potestà legislativa è esercitata nel rispetto, tra l’altro, dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali”. 

La Procura della Repubblica di Palermo ha sostenuto all’udienza preliminare le tesi sviluppate dal Tribunale dei Ministri. Il Giudice deciderà sabato 17 aprile se disporre il rinvio a giudizio o se invece prosciogliere l’imputato.

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