L’alleanza Bi e Trans: Oltre il Binarismo di Genere
“Bisessualità/biromanticismo è attrazione sessuale/romantica per uomini e donne binari3, mentre pansessualità/panromanticismo include anche le persone trans!”
Quante volte abbiamo sentito questa solfa, anche da attivist3 preparatissim3 in altri ambiti? Quante volte abbiamo specificato che sia transfobo e cisnormativo credere che debba esistere un orientamento sessuale/romantico “speciale” per includere le persone trans, mentre non sembra strano che quelle cis siano automaticamente previste? Quante volte abbiamo avuto bisogno di rimarcare che, sebbene sia possibile per alcune persone bi avere solo quel tipo di preferenza, la definizione di bisessualità/biromanticismo è “attrazione due o più generi”, e come se la viva ogni persona bi è quanto di più soggettivo possibile?
Questa narrativa fa male. E non solo perché le definizioni evolvono, si aggiornano, e abbandonare qualche schematismo di troppo non può che giovare a 360 gradi. Fa male perché diffonde una bugia vecchia più di quarant’anni: da quando i primi collettivi bi si sono organizzati negli anni Ottanta, fino a fondare una rivista nel 1990 chiamata Anything that Moves (come provocazione per lo stereotipo secondo il quale le persone bi sarebbero in grado di farsi “tutto ciò che respira”). All’interno di essa, scritta da persone bi e per persone bi, si può trovare un vero e proprio Manifesto Bisessuale, The Bisexual Manifesto:
“Do not assume that bisexuality is binary or duogamous in nature: that we have ‘two’ sides or that we must be involved simultaneously with both genders to be fulfilled human beings. In fact, don’t assume that there are only two genders.”
Tradotto:
“Non date per scontato che la bisessualità sia binaria o duogama per natura; che abbiamo ‘due’ facce o che dobbiamo avere simultaneamente relazioni con entrambi i generi per ritenerci soddisfatti come esseri umani. In verità, non date per scontato che esistano solo due generi.”
Nello stesso decennio, la grandissima attivista Robyn Ochs ha inoltre dichiarato:
“I call myself bisexual because I acknowledge that I have in myself the potential to be attracted – romantically and/or sexually – to people of more than one gender, not necessarily at the same time, not necessarily in the same way, and not necessarily to the same degree.”
“For me, the bi in bisexual refers to the potential for attraction to people with genders similar to and different from my own.”
Tradotto:
“Mi definisco bisessuale perché riconosco di avere in me la potenzialità di essere attratta – romanticamente e/o sessualmente – da persone di più di un genere, non necessariamente nello stesso momento, non necessariamente allo stesso modo, e non necessariamente con la stessa intensità.”
“Per me, la bi in bisessuale si riferisce alla possibilità di attrazione per persone dai generi simili o diversi dal mio.”
E da questa apertura mentale e da questa consapevolezza, anche per l’epoca del Manifesto, possiamo ricavare un dettaglio importante: non solo essere bi non denota transfobia, ma le comunità bi e trans, e per forza di cose anche quella non binaria, sono state alleate da molto più tempo di quanto comunemente si creda.
Io dedicherò il resto dell’articolo a dimostrarlo.
“Ma allora, perché è così difficile trovare testimonianze storiche della loro vicinanza, e perché sappiamo comunque che ci siano state?”
I motivi sono molteplici, e sono legati alla bicancellazione, vale a dire l’invisibilizzazione sistematica della bisessualità e del biromanticismo negli spazi queer. Sebbene in parte sia spiegabile con una scelta politica di rottura, figlia delle esigenze degli anni Sessanta e Settanta, la verità è che abbiamo scarse testimonianze dell’attivismo bi prima degli anni Ottanta a causa della bifobia e della mononormatività.
Il ventesimo secolo è l’epoca in cui gli orientamenti sessuali cominciarono ad essere studiati seriamente, ma la convinzione dell’esistenza di un binario in cui inserire i generi (e per estensione la mononormatività) era ancora pervasiva nella società occidentale, che si affannava a dividere tra “omosessuale” o “eterosessuale”.
Fu solo a partire dagli anni Settanta che alcune persone che non si riconoscevano nell’esperienza dell’amore e del desiderio solo per “lo stesso genere” o “il genere opposto” reclamarono la definizione di bisessuali. Prima di quel momento non erano state inesistenti, ma invisibili e invisibilizzate, a causa dell’incapacità di un nome da dare a ciò che sentivano. Tuttavia, si scontrarono presto con la diffidenza e l’ostilità del mondo cis gay e cis lesbico: che dire ad esempio della rivista lesbica femminista Moonstorms, che a metà dello stesso decennio dichiarò “Non siamo certe di come viva una donna che definisce se stessa bisessuale… Siamo scettiche riguardo all’avere un coinvolgimento stretto con le donne bisessuali, perché tutta la nostra energia la mettiamo nelle donne, ed espressamente non vogliamo supportare gli uomini”? O quando, un decennio dopo, su un editoriale di notizie gay comparve l’articolo There Can Be No Bisexual Community ad opera del leader cis gay del movimento Jim Thomas, e il lettore bisessuale Jim Pfaff gli rispose indignato con parole che suonano attualissime?

Purtroppo, atteggiamenti così discriminatori non sono spariti nel mondo cisgender omosessuale. Essendo stato definito sempre come l’alternativa “trasgressiva” all’eterosessualità vista come unico orientamento “giusto, normale, naturale”, ed avendo rivendicato nella propria definizione la portata rivoluzionaria e liberante che deriva dall’allontanarsi da ciò che la società additava e addita come “giusto, normale e naturale”, è facile che la ribellione si cristallizzi e non scenda più in profondità di qualche metro, senza muoversi dal binarismo di genere e senza metterlo davvero in discussione.
Ecco perché nonostante il suo contributo fondamentale per il Pride una donna bisessuale come Brenda Howard viene dimenticata rispetto ad altr3. Ecco perché Andrea Dworkin nascose la sua relazione in essere con un uomo nel tentativo di non perdere i privilegi che si era conquistata come attivista dichiaratamente lesbica, e sappiamo che il suo non fu un caso isolato. Molti di questi casi sono taciuti, un po’ per vergogna un po’ per disinteresse omertoso, ma ne vediamo gli effetti nefasti ogni giorno, tra coppie a orientamento misto che si sfasciano perché “non mi fido dell’ambiguità e dell’indecisione dell’orientamento bisessuale/biromantico”, l’ascrivere una persona bi all’essere etero o gay a seconda del genere dellə partner del momento, e chi si domanda se sarebbe il caso di escludere le persone bi dagli spazi LGBT+ come se quella B significasse ‘boh’.
E indovinate un po’ chi altro sfida la mononormatività oltre alla comunità bi? La comunità trans, in particolare la comunità non binaria. Qualunque modo di essere o amare che vada al di là di un mondo in bianco e nero, dicotomico, e riconosca le sfumature, è osteggiato da chi ragiona per compartimenti stagni, ponendosi in contrapposizione alla norma dominante o avallandola, ma pur sempre restando in quello schema. Questo non può prescindere né dall’identità di genere né dall’orientamento sessuale e/o romantico, e infatti le persone bi, trans ed enby sono una sfida al binarismo anche solo per la loro stessa esistenza. A tutte e tre le categorie viene detto che non esistono, che sono indecise e devono scegliere da che parte stare (questo soprattutto per bi ed enby), che sono immorali e dalla fortissima connotazione sessuale, dedite alla promiscuità e all’infedeltà (questo soprattutto per bi e trans), e ognuna di esse dimostra quanto sia miserevole incasellare la realtà in due binari destinati a non toccarsi mai.
Tuttavia, è anche vero che l’invisibilizzazione è una prerogativa bisessuale e biromantica più spesso che no: quante persone ricordano che Sylvia Rivera, icona queer che diede inizio al Pride con le sue amiche, fosse una donna trans (a un certo punto persino non medicalizzata)? E quante ricordano che si innamorò anche di un’altra donna, proprio come si innamorò di uomini?
Quante persone sanno che una significativa percentuale di persone transgender e non binarie è anche bisessuale, pansessuale, polisessuale, omnisessuale o in qualunque altro modo ha un orientamento che non rientra nella sfera della monosessualità? E quante sanno che nei pochi studi fatti al riguardo emerge che così si ritrovino a subire una doppia discriminazione?
A ridosso dell’Onda Pride ritengo imperativo andare a scavare tornando alle origini di ciò che siamo come comunità, oltre l’omonormatività e il binarismo, e questo non può prescindere dal ricordare che il nostro mondo è forte nella sua molteplicità, e che a cominciare la ribellione furono donne trans, latinoamericane, sex worker, dai corpi non conformi e bisessuali. Quanto di più lontano dal concetto di socialmente accettabile ci è stato inculcato e talvolta interiorizziamo.
Quindi, non è cruciale che la vostra conoscente Ermenegilda dica che vuole che l3 su3 partner siano “uomini-uomini” e “donne-donne” e non “delle cose mezze”, per citare quel premio Nobel di Biancofiore. Non è cruciale che il vostro amico trans Ignazio si dichiari pan anziché bi perché gli sembra più calzante per il suo intimo sentire. Almeno, su larga scala, no.
Ciò che conta è conoscere la storia, farsi una cultura, e definirci come sentiamo con la consapevolezza del perché. È sfidare le cose che ci sono state spacciate per “normali, giuste, sbagliate o da correggere”, e il bisogno di dividere la realtà in compartimenti stagni per crearsi un falso senso di sicurezza.
Del resto, è sempre quello a impedire di connettersi con altri esseri umani in maniera più completa.
È sempre la prevedibilità adagiata negli stereotipi e nel sentito dire che previene un dialogo.
Rendiamoci conto al più presto che il binarismo di genere, e la “transfobia insita nel dirsi bisessuali o biromantich3”, non siano che miti durissimi a morire e da sfatare. Solo allora potremo dire di aver fatto dei passi concreti sia per la comunità trans e non binaria sia per la comunità bi, anche all’interno del nostro stesso movimento.
Non un minuto prima.
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