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Peste suina, abbattimenti e suprematismo umano: occorre resistere

Il privilegio umano può essere descritto in molti modi, e uno dei più semplici è quello di ricordare che chi appartiene alla specie homo sapiens non viene ucciso e macellato, quotidianamente e nella piena legalità, mentre gli appartenenti ad altre specie animali possono essere “sacrificati” a migliaia, a milioni senza che ciò susciti una particolare riprovazione, neppure un moto di indignazione (magari ipocrita, ma pur sempre esplicita).

L’arrivo della peste suina in Italia proprio durante la pandemia di Covid-19 ha fornito un esempio forse ancor più eloquente di cosa distingue “noi” e “loro” a livello politico, ben prima che sul piano della biologia. Se un virus pericoloso si diffonde fra gli umani, mettendo in pericolo la salute pubblica, le vite dei soggetti fragili e la tenuta del sistema sanitario (un sistema già duramente messo alla prova dai tagli voluti dalla stessa classe politica che ora si propone come “soluzione”, a dirla tutta), i soggetti contagiati vengono isolati, messi in quarantena, con procedure che variano a seconda delle politiche nazionali e che possono essere più o meno tolleranti o violente, ma che prevedono in sostanza la restrizione della libertà individuale per alcuni giorni. Se invece si diffonde un virus fra maiali e cinghiali, i contagiati vengono abbattuti senza troppi fronzoli. Di più: vengono abbattuti – cioè uccisi – anche gli animali sani. L’abbiamo visto con la sindrome della “mucca pazza”, con l’influenza aviaria e con altri fenomeni simili, e lo vediamo ora con la peste suina.

Questa malattia colpisce solo maiali e cinghiali, e costituisce pertanto un potenziale danno per il relativo comparto zootecnico. Per proteggere questo settore – di per sé già responsabile dello sterminio di innumerevoli vite, senza contare la devastazione ecologica che tale attività è in grado di causare – le istituzioni utilizzano tutto l’armamentario che abbiamo imparato a conoscere: ordinanze per vietare l’accesso ai boschi a chiunque, creazione di “zone rosse”, soppressione dei maiali ospitati dai singoli cittadini.

La Rete dei Santuari di Animali Liberi ha lanciato l’allarme a seguito dell’ordinanza della Regione Liguria, che prevede che tutti i maiali in zona rossa siano abbattuti o macellati. Fra questi, anche quelli accolti da associazioni, famiglie, gruppi, rifugi per animali salvati dallo sfruttamento. “L’orrore della realtà, per loro, supera qualunque fantasia”, dice il comunicato della rete. Ed è proprio così, perché la quotidianità stessa degli allevamenti intensivi (ma anche di tutti gli altri luoghi di prigionia meno industrializzati) è un incubo per chi è stato generato a forza, rinchiuso, ingrassato, disabilizzato, privato di ogni cosa per cui valesse la pena vivere, e infine trascinato al patibolo. Questa quotidianità è un’immensa macchina da soldi che, fra i tanti sottoprodotti, ha la diffusione di patogeni, di malessere, letteralmente di malattia. Una catena di smontaggio patogena e iatrogena. L’elevata concentrazione dei corpi, le scarse cure, lo stress, la logica del profitto: tutto contribuisce a creare epidemie come quella della peste suina. (Si trattava, in effetti, solo di attendere che arrivasse anche in Italia).

La “soluzione” – disperata, fuori tempo massimo, verrebbe da dire – di un sistema al collasso non è altro che un surplus di violenza che, se si limitasse a quelle vite già tragicamente destinate al mattatoio, potrebbe suonare come una amara forma di liberazione, ma nel momento in cui si dispiega su coloro che sembravano essersi salvati è una beffa inaccettabile. Si tratta di una sparuta minoranza, quella degli schiavi sottratti alla “filiera” grazie a una fuga, un sequestro, un fatto casuale, o all’ostinazione di qualche attivista antispecista. Una piccolissima percentuale di maiali che iniziavano, spesso faticosamente, a capire di aver trovato una nuova vita in un rifugio per animali da reddito, ad assaporare relazioni fuori dagli interessi economici, a godere di forme di cura che non avevano mai conosciuto.

Varken Voor zijn kot bij een trog (1900) print in high resolution by Theo van Hoytema. Original from The Rijksmuseum. Digitally enhanced by rawpixel.

Uno di questi animali è Peppa, la cui storia viene raccontata da Ippoasi, il rifugio toscano che se ne prende cura:

“Peppa è un tipico ibrido d’allevamento, giunta ad Ippoasi da posto sconosciuto. La sua coda amputata fa pensare che provenga da uno di quei terribili lager che sono gli allevamenti intensivi. Quando è arrivata al rifugio aveva probabilmente un paio di mesi. Dopo un periodo di quarantena è stata presentata a Gorgo, la cui prima reazione è stata di spavento: da molto tempo non vedeva un suo simile! I due sono diventati inseparabili. I suini sono animali sociali e vivono in gruppo. Gorgo ha insegnato all’amica tutto quello che ha imparato fuori dal cemento dell’allevamento, sulla terra del rifugio, come scavare buche con il naso o trovare vermi e radici. Peppa è una persona, non un prosciutto: ha un bel caratterino e se vuole qualcosa a tutti i costi urla e strepita e quando va in calore ricerca amore da chiunque si muova!”.

Se per i grandi allevatori, qualora le autorità ritenessero necessario l’abbattimento di massa, saranno previsti rimborsi economici, qui nessun indennizzo monetario potrà mai essere accettabile, perché quei pochi fortunati non sono merce, sono individui che non hanno un prezzo, che non possono semplicemente essere rimpiazzati da un giorno all’altro. Per chi li ospita, la situazione non è molto diversa da quella che qualcunə in questi giorni, sui social, ha prefigurato con un senso di angoscia: e se domani al posto della peste suina si diffondesse una malattia che colpisce i cani e le Regioni vi intimassero di far sopprimere il “vostro” cane?

Intanto, la Rete dei Santuari lo dice chiaramente: la zona rossa si allarga, è destinata ad ampliarsi. La situazione più critica riguarda per ora la Liguria, ma altre Regioni hanno iniziato ad emettere provvedimenti. Occorre opporsi, con ogni mezzo necessario. Occorre manifestare il proprio dissenso con qualsiasi forma venga in mente nei confronti degli enti responsabili di questa follia, a partire dalla mail proposta nell’appello della Rete. Occorre, per chi ospita nella sua proprietà un maiale o un cinghiale salvato, rifiutarsi di accogliere i funzionari sanitari, combattere contro l’applicazione del provvedimento. La LAV ha attivato anche una casella per l’assistenza legale. Per tuttə, occorre essere prontə ad attivarsi con ogni mezzo necessario, perché il provvedimento non deve passare, la zona rossa del suprematismo umano non deve allargarsi, o questo sarà il futuro che ci aspetta nei prossimi anni, la modalità di risposta della nostra specie ai danni che lei stessa ha creato.

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