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La vittima collaterale poco citata nella guerra in Ucraina: l’ambiente

C’è una vittima collaterale poco citata nella guerra in Ucraina, l’ambiente.

Oltre alle migliaia di vittime civili, colpite dai bombardamenti e la devastazione di interi villaggi e città, a conflitto finito i costi dei danni ambientali causati dalla guerra saranno infatti altissimi.

L’Ucraina aveva però grossi problemi anche prima dell’invasione russa: la qualità dell’aria, ad esempio, era una delle peggiori in Europa e da quando è iniziato il conflitto ogni monitoraggio è stato ovviamente sospeso.

E anche la situazione ambientale del Donbass, la regione contesa dove si combatte da anni, era molto monitorata per la presenza di industrie chimiche e miniere di carbone in attività e dismesse, con materiali fortemente inquinanti.

Già nel 2014 la regione era la più inquinata del paese: la guerra prolungata- prima a bassa e media intensità, da più di un mese divampata violentissima- non ha fatto che peggiorare la situazione.

Gli obiettivi dei bombardamenti in una guerra che per certi aspetti ricorda le guerre classiche- pensiamo soltanto alle trincee che si vedono in molti video- sono anche le infrastrutture industriali ed energetiche ed i depositi di combustibile.

Una O.n.g. olandese, Pax, ha censito, nel periodo che va dal 24 febbraio al 5 marzo, 11 attacchi a depositi di petrolio e di gas, mentre un altro attacco ad un deposito di carburante vicino all’aeroporto di Kiev ha scatenato un enorme e pauroso incendio.

Ma c’è stato anche l’attacco alla base di Vasylkiv dove una autocisterna è bruciata per una intera giornata con i suoi 20 mila metri cubi di diesel e benzina. Un incendio che avrebbe coperto uno spazio pari a venti piscine olimpioniche: nell’aria si sono liberati quantità enormi di polveri sottili, anidride carbonica, biossidi di zolfo e di azoto.

Un altro bersaglio spesso colpito dagli invasori russi sono i depositi di munizioni: qui il pericolo arriva per le sostanze tossiche che le stesse munizioni contengono, quindi metalli pesanti come ferro, cromo rame, nitroglicerina, fosforo bianco.

Ma anche i purtroppo innumerevoli e quotidiani bombardamenti agli edifici ed ai fabbricati diffondono nell’aria moltissimi materiali nocivi, dal cemento per le costruzioni alle sostanze tossiche come mercurio e piombo a quelle contenute negli esplosivi stessi.

E tra le armi denunciate c’è l’uso da parte dell’esercito russo delle cosiddette “bombe a vuoto”, armi termobariche capaci di far evaporare i materiali che colpiscono.

Tornando al Donbass sono state osservate e studiate alcune peculiarità, soprattutto per il suolo che in alcune zone sprofonda mentre in altre sembra come capace di sollevarsi.

I chilometri e chilometri di gallerie sotterranee di quella che è una regione carbonifera, hanno

subito inondazioni che hanno colpito la superficie trasportando sostanze chimiche e tossiche che rappresentano una gravissima minaccia per l’approvvigionamento idrico.

E’ l’Unicef a descrivere la situazione in tutta la sua drammaticità: cucinare, bere, lavarsi, nelle zone dei combattimenti, diventa una sfida quotidiana per il continuo degrado proprio delle infrastrutture idriche.

E infatti un’altra vittima della guerra è proprio la rete idrica di questa e di altre regioni del paese: gli incendi ed i bombardamenti hanno riversato nei corsi d’acqua altre pericolose sostanze inquinanti.

Uno studio fatto dall’Onu nel 2018- quando in Donbass già si combatteva- parlava di qualcosa come 530 mila ettari di terreno distrutti dalla guerra tra cui ben 18 riserve naturali.

Le miniere abbandonate, di cui, come detto, la regione è ricchissima, e gli ordigni inesplosi rilasciano nel terreno sostanze fortemente tossiche come mercurio, piombo e arsenico e possono poi contaminare le acque. Il ministro dell’ecologia ucraino, Semerak, ha ammonito su di una seconda potenziale Chernobil se i separatisti filorussi avessero inondato direttamente la miniera di carbone abbandonata di Yunkom dove negli anni ‘70 erano stati fatti test nucleari. Sono state inondate le miniere vicine e acqua e materiali radioattivi sono finiti nel mar d’Azov.

Sul fronte nucleare, i rischi sono altissimi in un paese come l’Ucraina dove le centrali sono molte : i colpi di artiglieria potrebbero colpire uno dei 15 reattori presenti nel paese ed i depositi radioattivi disperdersi per migliaia di chilometri nelle aree circostanti.

Se in Ucraina la situazione è questa- e più a lungo durerà il conflitto più i danni saranno devastanti- da noi come nel resto d’Europa gli effetti della guerra hanno invece praticamente cancellato quel poco che si aveva in programma di fare per le politiche ambientali e per contrastare gli effetti del cambiamento climatico.

E’ un po’ come se la guerra ce l’avesse fatta dimenticare, ma la crisi climatica è andata e andrà avanti nonostante tutto quello che sta succedendo : sono le misure per contrastarla che si sono fermate come i piani e le politiche faticosamente decise. Le agende sono sospese e nelle misure per far fronte alla crisi degli approvvigionamenti di gas e di energia tornano di attualità le fonti fossili e addirittura il carbone che doveva sparire.

E per quanto riguarda direttamente il nostro paese è salito decisamente di tono l’ allarmismo per la crisi delle risorse alimentari. L’Italia, se guardiamo al grano, non dovrebbe avere i problemi che avranno, purtroppo in tempi anche brevi, altri paesi come quelli del nord Africa fortemente dipendenti dal grano ucraino e dove quindi assisteremo a nuove rivolte del pane e probabilmente a nuove primavere arabe.

Per noi la situazione è fortunatamente diversa.

Ma ci stiamo muovendo come se non lo fosse.

Un esempio può essere la decisione di rendere coltivabili quei terreni incolti che tali dovevano rimanere per questioni di sostenibilità, per favorire la biodiversità e l’impollinazione degli insetti.

Invece questi terreni si potranno coltivare e la logica che ha guidato questa scelta sembra proprio “coltivare il coltivabile” magari per produrre mais per gli allevamenti intensivi.

Invece di cambiare strategie ed un modello di agri/industria fortemente energivoro ed inquinante si è deciso di restare su logiche produttiviste che fanno male all’ambiente e peggiorano una situazione climatica arrivata a livelli drammatici.

Per chi cerca o pratica un’altra strada non ci sono incentivi, quindi il modello resta quello pre-crisi climatica che fa peggiorare un sistema che andava invece ripensato e dove la paura della crisi alimentare ha portato a cancellare o bypassare qualsiasi scelta capace di andare nella direzione opposta.

Eppure basterebbe pensare al fatto che l’aumento del prezzo del grano duro importato dal Canada è stato causato dalla siccità dovuta proprio al cambiamento climatico che ha vissuto quel paese che è un grandissimo produttore di grano.

I cambiamenti climatici moltiplicano ed interagiscono con i rischi e con le vulnerabilità del sistema produttivo: non si può certo sottovalutare la portata del loro impatto nemmeno in un periodo in cui la guerra l’abbiamo vicino a casa.

Comments (1)

  • Walter

    Grazie Cristiano, testo efficace e comprensibile a tutti, buon lavoro.

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