
Gli Occhi del Covid Ottobre: La morte della regina e di Sanders, la scalata di Di Maio, una nuova città per le olimpiadi
Sono stati giorni difficili, non ho più un cavallo su cui puntare. La puntata di una vita fa, di cui mi ero quasi dimenticato. E ora che è successo, che è arrivato il momento di riscuotere la vincita, mi sento vuoto, indifferente. Ho perso interesse. È come quando vai in montagna, stai carico a pallettoni fino alla cima. E poi basta, l’obiettivo è raggiunto e perdi completamente interesse per la discesa. Scolgionato e stanco, vuoi solo la birra di fine escursione. Perdi interesse per il motivo per cui stavi lì. Solo che stavolta non c’è la birra finale, solo la vincita morale. Da condividere con altre migliaia di persone oltretutto. Più di quindici anni sono passati da allora, dalla puntata facile facile, inflazionata. E per quindici anni ho perso tutte le volte. Sarà immortale, mi dicevo. Ma non potevo perdermi d’animo, prima o poi deve da succede. E infine è successo.
Ormai l’avrete capito, mi sono giocato al totomorto Bruno Arena….
Non è vero, non mi sono giocato lui al totomorto, ma siccome è morto l’altro giorno, un piccolo ricordino se lo merita. Comunque mi stava simpatico. Per il resto dimenticabile.
Ovviamente è la regina che mi sono giocato. E ora che è morta, che dovrei essere felice per aver vinto, constato con amarezza che non me ne fotte un cazzo. È così, non ce posso fa niente. Sarà un pezzo de storia, regno lunghissimo e tutto quello che ve pare. Ma niente. Non m’ha scaturito niente. Nada, nisba. Mi aveva colpito molto di più la morte del marito, come qualche lettore (dei due tre che mi sono rimasti) forse ricorderà. E in quell’occasione mi lamentavo proprio che era schioppato il vegliardo sbagliato. Boh, non so che dirvi.
È morta l’8 settembre. Fosse campata qualche altro giorno avrebbe arricchito l’11 settembre con una nuova ricorrenza, una data potente. Ma si deve accontentare di condividere il mortiversario con il glorioso armistizio nostro. Di una cosa però sono effettivamente contento. Finalmente quel povero disgraziato di Carlo è riuscito ad arrivare sul tanto agognato trono. Forse pure lui ormai soffre della sindrome del nonmenefregapiùncazzo come me.
O forse è pienamente cosciente che ai suoi omonimi predecessori è andata malissimo. Pensiamo a Carlo I Stuart (1600-1649). Sostenitore accanito del diritto divino dei re di comandare, innamorato dell’assolutismo, il suo regno fu un unico grande scontro con il parlamento. Fino a che non scoppiò la guerra civile e lui fu catturato, giudicato e giustiziato per alto tradimento. Non so se mi spiego, questi hanno giustiziato il re. Il primo, almeno che si sappia, che si è fatto condannare a morte da un tribunale ufficiale. In sintesi, un’idiota. Ma i ribelli che instaurarono la repubblica erano più idioti di lui. Infatti, morto Oliver Cromwell, la repubblica del Commonwealth crollò come un ghiacciaio d’agosto. E tornò sul trono Carlo II Stuart, figlio dell’altro Carlo. Che strano ma vero finì per governare come un monarca assoluto. In realtà a Carlo II non è andata così male, non ha perso letteralmente la testa, ma è schioppato di ictus a 54 anni. A conferma del fatto che erano una dinastia di incapaci, il successore di Carlo II, il fratello Giacomo II, fu cacciato con la Gloriosa Rivoluzione. In conclusione, il nome Carlo (o meglio Charles, che Carlo è molto mejo) in Inghilterra porta zella. Ecco, io la mia profezia l’ho fatta, vediamo se scoppiano rivoluzioni sotto il suo regno.
E ora una sfilza di meme che mi hanno fatto ridere.
E dunque è il caso di dirlo. LA REGINA È MORTA, VIVA IL RE. E colgo così l’occasione per fare un noiosissimo excursus sull’origine e il significato di quest’espressione. La locuzione “Le roi est mort, vive le roi!”, come potete intuire, è di origine francese. Ovviamente non è una frase detta tanto per dire, perché fa coatto, ma nasconde nella sua forma da slogan da stadio significati profondi. La prima volta che risulta utilizzata è in occasione della morte del re di Francia Carlo VI e dell’incoronazione di Carlo VII (altri Carli, coincidenze?!), nel 1422. La locuzione sta a intendere che per quanto un re possa morire, il Re inteso come figura giuridica è immortale. Bisogna infatti ben distinguere i due corpi del re: l’uno incarnato e mortale, l’altro istituzionale e immortale. Perciò morto un re, morirà la sua persona fisica, ma non di certo l’istituzione che rappresenta. Quindi questa formula garantisce la continuità della monarchia, e previene (in teoria eh) periodi di interregno che possano destabilizzare il regno. Muore il re, ma la corona resta. Perché ricordiamo che il re era una figura sacra, ammantata di diritti divini di governo e altre robe del genere. Quindi era na cosa seria. Dato che all’epoca ci stava ancora la Guerra dei cent’anni, e buona parte della Francia era in mano inglese, la locuzione piacque e si diffuse anche in Inghilterra. Lo stesso significato ha l’espressione “Morto un papa, se ne fa un altro”.
Quindi, per chiudere la vicenda dei reali, Elisabetta II sarà pure morta, ma la monarchia è per sempre.
Ma i decessi, ahimè, sono stati numerosi. Tra questi c’è da annoverare Pharoah Sanders, probabilmente uno dei sassofonisti migliori del mondo. È morto il 24 settembre, a 81 anni. Si è spento serenamente, non ci è dato sapere altro.
Siccome sono sicuro che più di qualcuno non lo conosca, ecco il link a un album della madonna.
https://www.youtube.com/watch?v=IRNUc4iYYv4
Non solo grandi musicisti, ma anche grandi menti. Nella fattispecie il meglio che il nostro paese ha da offrire. Non si può parlare di morte serena, o nel proprio letto. Neanche di incidente né di omicidio. Quello di cui parlo è un suicidio, della peggior specie. Di quelli involontari, assolutamente non calcolati. Come Icaro è volato troppo vicino al sole, così il nostro caso (sono sicuro che verrà studiato) ha tentato la salita per poi precipitare rovinosamente. Avete senz’altro capito che si parla di uno scalatore professionista, folle e visionario, che ha tentato l’impossibile. Ma l’ultima ascesa gli è stata fatale. Signori e signore, un momento di raccoglimento per piangere un’anima bella che se né andata. Addio Luigi Di Maio, il fu ministri degli esteri.
È così purtroppo, è andato via. Ma non vi dirò “non piangete”, perché non tutte le lacrime sono un male! Giggino vivrà per sempre in noi, con noi, macchia indelebile di un passato migliore. Anzi, del passato dei Migliori.
Mi sembra giusto fare una rapida disamina dell’ascesa e della caduta del Gigi nazionalpopolare. Nasce nel 1986 ad Avellino. Principe 5 Stelle, viene eletto nella legislatura 2013-2018, dove sarà vicepresidente della Camera (il più giovane di sempre). Il suo futuro era radioso, delfino in ascesa di un nuovo modo di fare politica. Nelle nuove elezioni del 2018 viene scelto come capo politico del Movimento, importante riconoscimento delle sue capacità. Inoltre il suo rivale candidato nel 2018 fu Vittorio Sgarbi, sonoramente sconfitto dal nostro. Riesce a farsi strada anche contro i mostri sacri. Durante il Conte I (quello con Salvini) è vicepresidente del Consiglio e ministro dello sviluppo economico e del lavoro. Nel Conte II continua la sua scalata inarrestabile, venendo nominato ministro degli Esteri. Un cursus honorum che Cicerone levate.
Ma nel 2020 qualcosa inizia a incrinarsi, i rapporti con i 5 Stelle si fanno tesi. Lascia infatti il ruolo di capo politico del Movimento, e asserisce che qualcuno da dentro sta cercando di pugnalarlo alle spalle. Solo in seguito scoprirà che quel qualcuno era la sua ombra. Il Di Maio Malvagio. Ma questo lui ancora non lo sa, attaccato com’è alla vita. Nonostante tutto, anche sotto il governo Draghi continua a essere ministro degli Esteri, con l’ingrato compito di stare a guardare l’evoluzione della faccenda russo-ucraina.
Ed eccoci finalmente alla storia recente. Nel giugno 2022 annuncia la sua uscita dai 5 Stelle, fondando “Insieme per il Futuro”, di stampo moderato, atlantista ed europeista. Na rottura di coglioni in pratica. Ma dei 155 deputati dei 5 Stelle, ben 50 seguono Giggino. Un altro record per il nostro: si tratta infatti della più grande scissione della storia repubblicana. Tra questi due pesi massimi come Vincenzo Spadafora (che quando si è congedato da ministro dello Sport ha detto “Non conoscevo invece il mondo dello sport, al quale mi sono avvicinato con curiosità, rispetto e attenzione”) e Lucia “Mazzoquadrato” Azzolina (quella dei banchi a rotelle per salvare la scuola dalla pandemia). Ma mancano le firme per poter far approdare il partito alle prossime elezioni, quindi Giggino fa una mossa da politico navigato, unendo le forze con Bruno Tabacci, storico e imperituro membro del nostro parlamento da…da quando io ho memoria di esistere più o meno. Ossia dal 2001. Prima ero troppo spensierato per rendermi conto di stare su sto mondo. Nasce Impegno Civico-Centro Democratico, che si uniscono alla coalizione del PD. E dunque elezioni. E il risultato è netto. Impegno Civico riesce ad eleggere un solo Parlamentare, Bruno Tabacci. Tutti gli altri esclusi. Incluso Di Maio. Poco dopo Tabacci afferma che l’esperienza di Impegno Civico può dirsi conclusa.
Capite la portata del suicidio del povero Di Maio. È andato da Tabacci, noto affittatore del suo partito per la questione delle firme, e l’ha fatto vincere. Di Maio non è riuscito a vincere neanche a Napoli. Aveva tutto, ma la ὕβρις l’ha reso cieco e arrogante, portandolo alla rovina. E molto probabilmente al dimenticatoio. Addio Giggino, sei la dimostrazione che ognuno ce la può fare, nel bene e nel male.
Deceduto è anche il futuro energetico dell’Unione Europea. A fine settembre infatti si sono verificate quattro esplosioni che hanno creato altrettante falle nei gasdotti North Stream 1 e 2. E te pareva. Si è da subito esclusa l’ipotesi dell’incidente. È stato un sabotaggio deliberato. E su questo sono d’accordo tutti. Ma chi è stato? Eh, boh. O meglio, certezze non se ne hanno, ma i sospetti (i miei) sono molti. Dalle nostre parti ovviamente la versione che va per la maggiore è che siano stati i russi stessi. Torna tutto. I russi, per farci un dispetto, si sono fatti saltare in aria il gasdotto che sta al centro di tutta questa contesa del cazzo (siamo ancora d’accordo che l’Ucraina è solo un “campo neutro”?), cancellando per il prossimo futuro la possibilità di riavvicinamento energetico all’Europa.
E poi è chiaro, i russi sono stupidi. Si bombardano la centrale nucleare con loro dentro, figurati se non si fanno saltare da soli i gasdotti che gli americani odiavano tanto. Ovvio. Tiè americà, suka. Mi pare assolutamente scontato che a farli saltare per l’aria siano stati gli yankee o chi per loro. Tipo i polacchi, tanto per dirne una. Oltre ai russi, quelli che se la pigliano nel culo sono i tedeschi. Che hanno visto saltare in aria sedici anni di politica estera. Ovviamente hanno abbozzato, non sono più i tedeschi di una volta (per fortuna eh), ma qualcosa l’hanno detta. Il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck, in un’intervista, non è andato lontano da accusare direttamente gli Stati Uniti di starci facendo i soldoni con la guerra in Ucraina. Ma ahimè, nomi non ne ha fatti, ha parlato solo di alleati in termini molto vaghi. “Alcuni paesi, compresi quelli amici, a volte ottengono prezzi stellari. Naturalmente, ciò comporta per noi dei problemi di cui dobbiamo parlare”. Questo ha detto il tedesco. Chissà a chi si riferirà mai, paese amico che ci vende il gas a prezzi matti. Ma chi l’avrebbe mai detto?!
E in tutto ciò alleggia lo spettro della guerra atomica da tutte le parti. È stato fatto saltare in aria l’unico ponte che collega la Crimea alla terraferma russa. E anche qui il valzer delle attribuzioni è stato divertente. Innanzitutto è successo il giorno dopo il compleanno di Putin. Bella chicca, lo devo ammettere. Dopo il botto e la diffusione della notizia, gli ucraini si sono auto attribuiti la paternità del gesto, un bel regalo di compleanno. Ma poi hanno cominciato a parlare di una pista russa e di una resa di conti interna. Ricordate la cosa che i russi so stupidi no? Ecco, la stessa cosa, si sono fatti saltare il ponte da soli. Tiè Zelè, suka. Ma persino i grandi giornali americani parlano di opera dei servizi ucraini. Insomma, qua già è tutto un casino, almeno gli ucraini si mettessero d’accordo sulla versione da seguire.
Comunque i giornali americani non hanno attribuito solo il ponte agli ucraini. Il NY Times fa sapere che, attraverso fonti dell’intelligence americana, sono stati proprio gli ucraini a far saltare in aria la macchina con a bordo Dugina. Smentendo così il governo ucraino. Ho come l’impressione che ai media statunitensi l’Ucraina non stia poi così simpatica. Un po’ come al papa.
Oh, sia chiaro. A me se gli ucraini fanno zompà ponti o macchine con tizie dentro non me tange. Non giudico. Basta che tutto sto macello non me faccia zompà la sedia che c’ho sotto al culo. Si parla ovunque ormai di guerra atomica. Sta sulla bocca de tutti. Ma quello che sempre mi fa più preoccupare è Biden. Che ha ben pensato di parlare di “Armageddon” nucleare in arrivo. Boom. Quanto cazzo è americano, l’Armageddon ha tirato fuori. Brutto rincoglionito. Mai na parola pe smorzà, sempre a spararle grosse. Te prego, vecchio demmerda, torna a perderti le scorregge in giro, ma statte zitto.
A Biden il PREMIO COVID 19 BAYHEM.
Poi ci sarebbe da parlare dei referendum nelle regioni ucraine occupate, o russe liberate, a seconda dei punti di vista. Ma me so rotto il cazzo de parlà de sta roba. Passiamo ad argomenti più leggeri.
Parliamo di sport invernali. Non mi riferisco alle olimpiadi che si faranno da noi nel 2026, così noiose e così piene delle solite polemiche. Qua si parla del 2029. Di roba pensata veramente in grande. Il Consiglio Olimpico dell’Asia ha deciso di affidare l’organizzazione dei Giochi invernali asiatici del 2029, all’unanimità, all’Arabia Saudita. Tipico posto dove fare sci penserete voi. E sbagliate, perché qua c’è in ballo la scienza. Perché il posto prescelto per ospitare i giochi è la città di Neom. Una città che non esiste. O meglio che non esiste ancora. È una città che sta venendo attualmente costruita a nord dell’Arabia Saudita, vicino al Sinai. Dovrebbe ricoprire un’area di 26.500 km2 (sei volte e mezzo il Molise), lunga 170 km lungo le coste del Mar Rosso. Il progetto fu annunciato da Bin Salman nel 2017, e il suo nome significa “Nuovo Futuro”. Per ora sono stati investiti 500 miliardi di dollari. Dovrebbe essere una sorta di città autonoma dentro l’Arabia, con le proprie leggi fiscali e del lavoro e un sistema giudiziario autonomo. Un paradiso.
È previsto che le Intelligenze artificiali e i robot svolgeranno funzioni come sicurezza, logistica, consegna a domicilio e assistenza. Per ridurre la dipendenza da petrolio, la città sarà alimentata da energia eolica e solare. Ovviamente un’opera tanto grandiosa prevede diverse fasi. La prima è detta “The Lines”, ossia la città vera e propria, lunga 170km, larga appena 200m, tutta in riva al Mar Rosso. La città dovrebbe ospitare nove milioni di abitanti, con l’eliminazione dei veicoli convenzionali e con tutti i servizi base non più lontani di cinque minuti a piedi. Oltre alla città vera e propria, il progetto prevede la creazione di un polo industriale, ossia l’Oxagon – Neom Industrial City. Il progetto si concentrerà sulla produzione moderna, la ricerca industriale e lo sviluppo incentrato sull’espansione del porto di Duba, poco più a sud di Neom. Si chiama Oxagon perché è un complesso industriale galleggiante a forma di ottagono regolare; sarà il più grande del mondo una volta completato e fungerà da porto per le rotte marittime attraverso il Mar Rosso. Bin Salman ne parla come di un nuovo modo di ridefinire il modo in cui l’umanità vive e lavora nel futuro. Infine è stato lanciato il progetto Trojena, che sarà la prima grande destinazione per lo sci all’aperto nella Penisola araba. Sarà situato nella catena montuosa più alta dell’Arabia Saudita, a circa 50 km dalla costa del Golfo di Aqaba, con altitudini comprese tra 1500 e 2600 m. Il sito è notevolmente più fresco rispetto al resto del territorio di Neom. Ed è proprio in quest’area che si terranno i futuri giochi invernali.
Ricapitolando, una megalopoli futuristica che ridefinirà la vita urbana dell’uomo, con massiccia presenza di intelligenze artificiali che fanno cose al posto dell’uomo, con le sue proprie leggi. C’è chi ne parla come se fosse un unico condominio lungo 170km, un GigaCorviale. Ho letto e visto troppa fantascienza e cyberpunk per credere in sta roba. E Bin Salman non direi che è uno esattamente degno di fiducia. Inoltre sarà abitato da turbomegaricchi? O da nove milioni di morti di fame che faranno andare avanti il giochino del principe. Boh. Inoltre l’Arabia mi sembra il luogo adatto per ospitare giochi invernali. Tutto molto sostenibile. Ovviamente le criticità della faccenda sono molte. Dall’allontanamento forzato di una tribù beduina stanziata nell’area, a condizioni di lavoro per gli operai che lavorano alla costruzione che ve le raccomando (roba che gli schiavi stavano meglio probabilmente). Però ehi, è il rinascimento loro, è giusto che sperimentino. Benvenuti nel futuro, stronzi.
A Bin Salman il PREMIO COVID 19 ASIMOV.
Infine, chiudiamo con una lacrima strappastorie. Il protagonista di questa lacrima è Brendan Fraser. Protagonista di una serie di film che sono stati molto formativi per me ai tempi. Ovviamente parlo della Mummia, in cui lui interpretava Rick O’Connell, una specie di Indiana Jones cafone all’acqua di rose. Anche se in realtà il mio eroe di quei film era senza ombra di dubbio il grande Imhotep, il cattivo. Ma non siamo qui per parlare di lui. Dicevamo, Brendan Fraser, ai tempi belloccio di belle speranze, con una discreta carriera nell’action, è finito per scomparire completamente dai radar, caduto nel dimenticatoio e in apparente disgrazia. A essere sinceri non è che si sia sentita molto la sua mancanza nel mondo del cinema, non è che sia stato sto gran fenomeno di attore. Però era simpatico e benvoluto, gliene va dato atto.
Nel 2018, in un’intervista, ha rivelato il motivo ufficiale della sua scomparsa dagli schermi. Stando alle sue parole, un pezzo grosso di Hollywood, il cui nome è irrilevante, lo ha molestato nel 2003. Questa cosa ha creato talmente tanti problemi a Fraser che a un certo punto, non riuscendo più a sostenere il peso della faccenda, decise di ritirarsi dalle scene, rifiutando un sacco di film. Molestie e depressione, un cocktail letale. E veniamo dunque al fulcro della faccenda. Quest’anno al festival del cinema di Venezia è stato presentato The Whale, ultimo film di Darren Aronofsky. Il quale ha dichiarato che gli ci sono voluti più di dieci anni per trovare il protagonista giusto per il suo film. Fino a quando non ha trovato un grasso grosso Brendan Fraser sulla sua strada. Nel film, che non ho ancora visto, Fraser interpreta un padre di 272 kg, alle prese con una figlia diciassettenne. A tutti gli ingredienti per essere un bel drammone. Ovviamente Fraser, che pure è grosso, non pesa 272 kg, quindi, ci sono pacchi di trucco prostetico addosso a lui.
Quando uscirà sarà da vedere. Inoltre è distribuito da A24, garanzia assoluta. Come dicevo, il film è stato presentato a Venezia, e qui è successa la magia. Il film è piaciuto molto, applausi su applausi, e standing ovation per il nostro Brendan, il quale se ne stava defilato ad applaudire la sua cumpa. Fino a quando Aronofsky non l’ha messo in mezzo e gli ha fatto partire il giusto tributo. E lui si è sciolto come burro in un bel pianto emozionante. E un altro po’ io con lui. Che io sembro cattivo, sarò cinico, ma pure io c’ho i sentimenti ogni tanto. E ste storie di disagio, miseria umana e rivincita me sciolgono quasi sempre. Soprattutto se coinvolgono chi mi ha cresciuto artisticamente. Brendan uno di noi.
E guardalo là il buon Brendan. Tutto impacciato, bello ciccio, non sa manco lui come fa. Genuino.
A Brendan Fraser il PREMIO COVID 19 BENTORNATO. In attesa dell’Oscar.
Ci sarebbe anche da parlare delle ultime elezioni, di Giorgiona nazionale e tutto il carrozzone. Ma non è questo il giorno. Oggi brindiamo al successo di Brendan. Ah, è morta pure Jessica Fletcher porcatroia, chi aveva fatto la doppia giocata al totomorto ha sbancato.